2013
Rocca: “Chinaglia aveva qualcosa in più di un leader: lui amava la sua Lazio”
Giorgio Chinaglia ha avuto il potere di unire almeno tre generazioni di tifosi: un giocatore di talento, ma soprattutto un tifoso. Un simbolo di “lazialità” che difficilmente potrà essere sostituito nel cuore dei tifosi. Un legame indissolubile con Tommaso Maestrelli. Ora Long John ed il Maestro riposeranno sempre insieme, uniti nel loro affetto e nella loro fede biancoceleste. Attraverso il Corriere dello Sport, Francesco Rocca, ex difensore giallorosso, ha voluto ricordare Chinaglia. Lui che tante volte, durante i derby, l’ha incontrato ed affrontato. Queste le sue parole:
Che rapporto avevate?
“Non ero suo amico come lo era Pino Wilson però lo ammiravo, avevamo un rapporto cordiale. Lui era generoso, in campo e fuori dal campo. Io ero molto giovane, mi stavo affacciando al mondo dorato del calcio, lui, invece, era già un simbolo per i tifosi laziali. Giustamente”.
C’è una partita il cui ricordo vi accomuna?
“Una amichevole con la Nazionale. Italia-Stati Uniti, a Roma, all’Olimpico. Tra i convocati diversi romanisti e diversi laziali”.
Vinceste in maniera piuttosto larga.
“Vincemmo 10-0 a conferma che il calcio è decisamente cambiato: oggi difficilmente gli Usa perderebbero così largamente. Ma non solo gli Usa”.
Segnaste tutti e due?
“Sì, Giorgio realizzò una doppietta. Io, invece feci un gol…”
Alla Kawasaki…
“Esatto. Zoff mi diede il pallone e mi feci di corsa tutto il campo”.
Visto da un avversario com’era Chinaglia?
“Era un personaggio decisamente particolare”.
Difficile da marcare?
“Difficilissimo. Aveva una forza fisica con la quale poteva abbattere le montagne. Ma anche notevole qualità tecnica”.
E i derby com’erano?
“I derby erano i derby: partite dure, cattive, in cui si fraternizzava veramente poco”.
Quello del dito sotto la curva romanista lo ricorda?
“Sinceramente, io non vidi nulla, ero in campo e avevo altro a cui pensare. Poi vidi le immagini la sera, in televisione. Il gesto venne stigmatizzato e forse sarebbe stato opportuno evitarlo. Ma Giorgio era così”.
Cioè?
“Aveva un gran carattere, una prorompente personalità. Troppo facile dire: era un leader. Lui però rispetto ai leader aveva qualcosa in più: amava la maglia, la sua squadra, la Lazio”.
La Nazionale attenuava la rivalità.
“Sì. In Nazionale molte cose cambiavano. Non ci siamo frequentati tanto, anche perché sarebbe stato complicato. Però quando ci ritrovavamo nei ritiri azzurri il nostro rapporto era cordiale. Per quello che ha fatto gli va reso onore e merito”.