Hanno Detto
Badelj, l’ex Lazio racconta la sua vita senza social: «Scala, Mozart e Brahms. Con Pioli i pensieri arrivavano da soli»
Le parole di Milan Badelj, ex centrocampista della Lazio, sulla decisione di escludere i social network nella sua vita privata
Milan Badelj, calciatore del Genoa ed ex Lazio, ha parlato a la Gazzetta dello Sport raccontando i retroscena sulla sua vita in cui ha eliminato i social network. Di seguito le sue parole.
NIENTE SOCIAL – «Perché sto molto bene senza: se si esce e ci si conosce di persona, è meglio. Io non vivo sul telefono, preferisco trovarmi con le persone con cui sto bene, e con loro voglio stare senza telefono. Un’altra cosa: alcune persone sui social riescono a vendersi diverse da come sono. Non mi piace».
SI PUO’ ESSERE AUTENTICI SUI SOCIAL – «Certo, non sono contrario a prescindere. Anzi, so che chi sa usare i social ha un vantaggio, però io mi farei prendere da cose non sane».
DA COSA SI FAREBBE PRENDERE – «Calcio e filosofi contemporanei. Su YouTube mi piace ascoltare chi fa ragionamenti ampi, chi spiega perché la società funziona così. Vedo video di Zizek, di Jordan Peterson e so che il telefono me ne proporrebbe di nuovi, all’infinito».
COME USA IL TEMPO RISPARMIATO SUI SOCIAL – «Io lo dedico tutto ai miei figli. Giochiamo a Memory, a Monopoli, a calcio, oppure guardiamo le cose di scuola. Ora stiamo leggendo il primo Harry Potter. Se un bimbo vede che la mamma e il papà guardano il telefono invece di stare con loro, penserà che il telefono sia molto importante».
MAI AVUTO UN PROFILO – «Ho fatto Viber, ma non sapevo che se apri l’app tutti vengono avvisati. Hanno cominciato a scrivermi tutti, e ho cancellato l’app un minuto dopo Facebook l’ho avuto, sarà stato il 2007. E ho conosciuto mia moglie con Msn Messenger, nel 2008».
CHE FAMIGLIA AVEVA – «Una famiglia di lavoratori: mio papà informatico, mia mamma al negozio di fiori. Non eravamo ricchi ma non ci mancava niente, in famiglia c’era tanto amore e un buon esempio: i miei genitori lavoravano da mattina a sera».
L’EQUIVALENTE DEI SOCIAL ALL’EPOCA – «I videogiochi. Le punizioni più grandi le ho avute quando mi innervosivo giocando a Nba Live 98 Fifa 2004. Se perdevo, colpivo il computer e venivo punito».
PADRE – «Aveva fatto la guerra civile, era stato ferito. Ha sofferto. Lavorava all’Ibm su tre turni – una settimana il mattino, poi il pomeriggio, poi la notte – ma faticava con la routine».
PARLAVATE DI GUERRA – «No, mai. Gli avevano sparato e insomma, non è semplice parlare di queste cose».
RICORDI DEL CALCIO – «Ricordo la mia prima maglia, una rossonera di Weah al Milan. In Croazia, tra i ragazzi, lo sport era l’unica cosa che contava: se facevi altro, venivi un po’ bullizzato. Contavano il calcio, il basket, forse il tennis. Se suonavi la chitarra, potevi essere Keith Richards ma ti guardavano un po’ così».
COME SONO I COMPAGNI DI SPOGLIATOIO OGGI – «Sono bravissimi ragazzi, educati, si vede che sono andati a scuola, però c’è tanta distanza con noi. Maggiore di quella che c’era 15-20 anni fa tra noi e i vecchi dello spogliatoio».
ESEMPIO – «A 18 anni io e il migliore amico giocavamo alla Dinamo Zagabria. Un giorno eravamo in doccia, c’era un’apertura sopra la porta e un compagno da sopra ci ha buttato un secchio di acqua ghiacciata. Oggi queste cose non si fanno più, perché ai ragazzi non viene in mente. Sono impegnati a scrollare. Prima si litigava di più ma si stava anche di più insieme. Lo spogliatoio era simile a una famiglia. E poi i calciatori erano leggende. Ora tutti vedono che cosa hai mangiato, ogni giorno, e così sei meno idealizzato».
30 ANNI FA C’ERANO CALCIATORI PIU’ ALTERNATIVI – «Sì, perché avevi più libertà di esprimerti. Magari da ragazzo non vuoi essere preso in giro sui social e finisci per essere standardizzato».
COME SI FA CON I FIGLI – «Non è facile. Ho un figlio di sei anni e mezzo e una figlia di due e mezzo, so che chi non ha il telefono viene visto come uno strano. Non sono contrario a prescindere, mi basterebbe se mio figlio ragionasse così: “so usare telefono e social, ora valuto se averli”. Quando vedo che sono ricettivi, cerco di far capire l’importanza di stare con le persone e divertirsi, do più importanza alle attività all’aria aperta. Anche io cerco di fare cose diverse, sono stato a teatro a vedere Peter Pan, oppure allo Schiaccianoci. Se capita, vado alla Scala».
QUANTI CALCIATORI VANNO ALLA SCALA – «Nessuno, ma nessuno ha Martina. Mia moglie è pianista e grazie a lei ora mi interessa guardare, leggere, sentire, ascoltare, capire perché Mozart o Brahms hanno vissuto così. Poi è chiaro, la Bohème e la Traviata mi piacciono meno perché le capisco meno».
CON CHI PARLAVA DI QUESTI TEMI – «Stefano Pioli. Con lui i pensieri arrivavano da soli. Anche ora, quando lo sento, è come parlare con i miei amici».
30% DI INGAGGIO IN PIU’, MA OBBLIGO DI USARE I SOCIAL – «No no, rifiuto. Ma a vent’anni, forse, avrei accettato».