2014
La carica di Felipe Anderson: “Voglio l’Europa e il derby!”
Nato con il pallone, un dono di Dio. La fede lo ha sorretto, il talento gli consente di volare sul campo. Felipe Anderson ha ritrovato il sorriso e la capacità di divertirsi giocando, quello che sognava e avrebbe voluto fare da quando era nella pancia di mamma Elza. La Lazio ci ha sempre creduto e tutti ora lo stanno scoprendo. A Lisbona, venerdì sera in amichevole, ha incantato e trascinato la squadra di Pioli verso il pareggio con un’azione pazzesca e un assist al bacio per Tounkara in pieno recupero. Era l’ultimo lampo di una serata magica. Il brasiliano, fedele all’appuntamento con i social, dove spesso ha trovato sostegno in un anno balordo, ora trasmette entusiasmo. Un ragazzo semplice, umile, forse troppo timido per il mestiere di calciatore: viene da una famiglia povera di Brasilia, voleva giocare per aiutare papà Sebastiao e i suoi fratelli. Ieri alle 15,30 si è presentato puntualissimo all’appuntamento nel giardino dell’hotel Klosterpforte, sede del ritiro tedesco della Lazio, e ci ha raccontato tutto. L’amicizia con Neymar, l’incontro con Pelé, il sogno delle Olimpiadi, la «voglia enorme di giocare e segnare nel derby» (testuale), gli insegnamenti di Pioli e soprattutto come è scattata la molla che gli sta permettendo di svoltare. Allo stadio Josè Alvalade ha illuminato la partita con dei colpi impressionanti. Ora è il vero Felipe, viaggia spinto dalla fiducia e dal vento dell’entusiasmo, vede la luce. Dopo averlo sentito parlare quaranta minuti, abbiamo capito una cosa. Ha solo 21 anni e se aggiungerà un filo di arroganza nel suo modo di stare in campo diventerà un fenomeno. Ecco l’intervista integrale del Corriere dello Sport.
Partiamo da Lisbona. Ottima prestazione. Contento?
«Sono contento perché sto facendo bene, mi sento meglio, mi sono abituato all’ambiente, al calcio italiano, ai compagni. Sto bene fisicamente e mentalmente. A Lisbona ho provato una grande gioia nell’aiutare la squadra a pareggiare e andare ai rigori. Sono riuscito a fare quello che Pioli mi chiede sempre. Ho usato la mia velocità, sono rimasto concentrato».
Tounkara l’ha ringraziata per l’assist?
«Sì. Lo fa sempre quando succede, è bello quando puoi aiutare un compagno. Non importa chi segna, ma solo che la squadra vinca».
Stiamo cominciando a vedere il vero Felipe Anderson?
«Sì, mi sento benissimo, mi trovo bene in campo, c’è il movimento che prima mancava, sto riuscendo a fare le cose naturalmente. Ora finalmente esce il mio calcio e come ho sempre giocato. Questo è Felipe».
Cosa le manca ora per arrivare al top? «Una sequenza di buona partite, non basta giocarne una bene e una no. Devo giocare sempre così, concentrato, sto prendendo il ritmo. Serve la continuità, ora penso di andare in crescita. Ho ancora tante cose da migliorare. Con il nuovo allenatore sto imparando tante cose. Penso che possiamo fare una grande stagione».
Cosa chiede Pioli a Felipe Anderson?
«La cosa principale è che mi chiede di non stare mai fermo, se la palla è esterna devo andare dentro, in caso contrario mi devo allargare. Devo essere sempre in movimento, attivo in campo, con il pensiero di aiutare la squadra. Se perdo la palla, devo aggredire. Pioli insiste e questo lo sto facendo in ogni allenamento, in ogni partita».
Tare diceva: Basta solo aspettarlo Felipe.
«Lui ha sempre creduto in me, mi ha sempre detto di continuare, che era difficile, non dovevo mollare, ma insistere perché in Italia non ti devi mai fermare per novanta minuti. Ho capito adesso. E sul campo sta andando meglio».
Cosa è cambiato?
«Ora ho capito com’è il calcio italiano, ho capito il gioco della Lazio. Quando capisci come si muove la squadra, diventi padrone del gioco. Ora è più facile. E poi ho dimenticato l’infortunio. Sto bene, corro, non sento alcun fastidio alla caviglia. Sono felice, perché i tifosi mi sostengono, credono in me, mi mandano tanti messaggi. Li voglio ringraziare e ripagare. Questa è sempre una motivazione che porto in campo».
Ora sembra più sereno. Avverte minori pressioni?
«Sì, ma la pressione principale era che non riuscivo a giocare bene, quando sbagli un passaggio o un dribbling, non riesci a fare quello che ti riesce normalmente, vorresti fare di più. Ho cambiato anche in allenamento. I miei compagni mi hanno aiutato tanto nella fase più complicata, mi dicevano non mollare, continua a lavorare. Ora tutto sta iniziando a cambiare».
Cosa si sente di promettere ai tifosi della Lazio?
«Sono felice, mi sento orgoglioso di essere qui e di avere i tifosi dietro, credono in me, mi danno sostegno. Darò il massimo, cerco di migliorare, di andare in campo per fare quello che so. Prometto il mio impegno. Voglio aiutare la Lazio e portarla, con tutti i miei compagni, il più alto possibile».
Ci sarà tanta concorrenza da battere.
«Meglio. Così non c’è possibilità di accomodarsi. Se stai bene, devi continuare perché vedi accanto un altro tuo compagno che sta bene. E’ una competizione buona per la squadra. E la squadra vince attraverso questo stimolo, con tutti i giocatori motivati».
Alla fine esterno d’attacco è il ruolo ideale?
«Il ruolo che sento di più è giocare dentro il campo, ma Pioli mi sta dando la libertà di andarci. Parto da esterno destro, quando la palla si muove a sinistra posso entrare. Mi piace, così posso fare assist e tirare in porta, creando difficoltà agli avversari. I terzini pensano che stia fuori, invece posso tagliare verso il centro».
Se l’aspettava così complicato l’impatto con il calcio italiano?
«All’inizio non credevo fosse così difficile, così diverso dal calcio brasiliano. E’ diverso il ritmo della partita. In Brasile c’è tempo di riposare, c’è meno intensità, se stai vincendo 1-0, fai girare la palla con calma. Qui si corre per novanta minuti, bisogna aggredire, non c’è spazio. Sono queste le differenze, puoi giocare bene una partita, ma solo con il tempo ti abitui».
Quando sembrava sul punto di svoltare, il rigore fallito con il Ludogorets in Europa League. E’ stato quello il momento più duro?
«Sì, penso di sì. La squadra aveva bisogno di un gol per pareggiare, dopo dovevamo andare in trasferta. Ho sbagliato e poi il mister mi ha sostituito. Dopo l’errore, volevo giocare ancora e riscattarmi. E’ stata una serata difficile. Ma sono un professionista, al Santos ho giocato per tre anni in prima squadra, ci sono stati tanti momenti difficili. Quando succede, bisogna mantenere la testa alta e continuare a lavorare».
La fede l’ha aiutata a resistere?
«Sempre. Senza la forza di Dio, adesso non sarei qui. Vengo da una famiglia povera, a Brasilia non c’è tanto calcio, per iniziare la carriera sono andato via di casa a 12 anni. Dovevo credere che un giorno ci sarei riuscito. Chiedevo a Dio di giocare a calcio, così avrei potuto aiutare la mia famiglia. E’ stata una benedizione di Dio arrivare sino a qui. Ora lavoro e lo ringrazio per l’opportunità che mi ha dato nella vita. Siamo in otto a casa. Ho un fratello, quattro sorelle, mamma Elza e papà Sebastiao».
Anche con la Lazio tutto è stato sofferto. L’acquisto mancato a gennaio e rinviato di sei mesi, l’infortunio alla caviglia, il primo anno senza luci.
«Sono cose che penso debbano succedere, tutto credo che nella vita abbia una ragione se succede. Ora è arrivato il momento in cui sto bene, questo è il momento di aiutare la Lazio e i compagni, devo pensare al presente facendo tesoro delle difficoltà vissute in passato. L’esperienza ti aiuta a diventare più forte».
Il suo amico Neymar cosa le ha consigliato?
«Nello stesso periodo in cui sono venuto alla Lazio, lui stava andando al Barcellona e parlavamo moltissimo. Mi diceva di avere un amico con cui stare insieme, un buon amico che mi aiutasse a capire la mentalità europea. Lo diceva a me, ma lo diceva anche per se stesso. A Barcellona ha trovato Dani Alves. Qui alla Lazio ho trovato i brasiliani, tutti sono stati meravigliosi, il gruppo mi ha aiutato».
E adesso cosa dice lei a Neymar dopo l’infortunio e la delusione del Mondiale?
«Quando si è fatto male, ci ho parlato. Era deluso, triste. Mi ha risposto solo: ok fratello, ti voglio bene. Ora si trova in vacanza, negli ultimi giorni non l’ho sentito, deve stare ancora un po’ a riposo».
Come è possibile perdere una semifinale 1-7 in casa?
«Non lo so, non c’è una spiegazione. Nessun brasiliano sa rispondere, non ci sono parole. E’ triste. Ci sono rimasto malissimo».
Klose ha anche segnato con il Brasile e poi è diventato campione del mondo. Cosa gli dirà?
«Niente… Gli avevo mandato un sms, dicendogli che avrei tifato per lui, ma non contro il Brasile… Il calcio è così, devi vincere, hanno vinto bene loro. Complimenti a Miro».
Ha giocato nell’Under 20 del Brasile. Ci pensa alla nazionale?
«Per andare in nazionale devi stare con la testa nella tua squadra. Se sei concentrato e fai bene nel club, è naturale che ti chiamino. Il sogno di tutti i brasiliani è giocare nel Brasile, il mio non è diverso dagli altri. Prima devo fare bene qui con la Lazio. C’è tempo per le Olimpiadi e per i prossimi Mondiali. Ora sono con la testa qui con la Lazio».
Le Olimpiadi del 2016 sono a Rio de Janeiro.
«Beh sì, mi piacerebbe giocare le Olimpiadi in Brasile. Sarebbe un sogno. E’ un obiettivo. Prima di pensarci, devo fare bene qui con la Lazio».
Nel Santos ha portato il numero 10 di Pelè. Le pesava?
«All’inizio sì, sentivo il peso, avevo solo 17 anni, vedevo la maglia del Santos e mi chiedevo: ma è proprio vero? Mi sono abituato. Neymar mi diceva: “Gioca come se fossi in Primavera”. Mi ha aiutato a non pensarci, a non sentire la responsabilità.
Ha mai parlato con Pelé?
«L’ho visto tre volte, ma c’era sempre tanta gente intorno. Non abbiamo mai parlato della maglia del Santos. Però era in tribuna per le partite importanti. Ha il suo posto al Vila Belmiro».
Le piacerebbe portare il 10 anche alla Lazio o si terrà il 7?
«No, Ederson sta bene con il 10. Nella Primavera del Santos usavo il 10, ma ormai mi va bene anche il 7. Mi piace. Sono un fan di Cristiano Ronaldo, ora mi tengo il suo numero».
Quali sono i suoi idoli?
«Ne ho. Il primo è Neymar, per quello che gli ho visto fare da vicino sul campo. Poi Cristiano Ronaldo e Ronaldinho».
Che stagione prevede per la Lazio?
«Il nostro obiettivo è fare benissimo, arrivare il più in alto possibile, raggiungere l’Europa. Dobbiamo restare uniti, affrontando ogni partita come fosse una battaglia da vincere. Così possiamo farcela. Siamo un buon gruppo, vedo squadra forte: se ci crediamo e lotteremo sino alla fine, sono sicuro che taglieremo il traguardo».
Ci pensa al derby? L’anno scorso non è entrato in campo…
«Certo che ci penso. Appena sono arrivato alla Lazio tutti me ne parlavano, già sapevo che a Roma si viveva questa partita importante. Ora dico: dopo averlo visto dalla panchina, ho una voglia enorme di giocarlo. Ho quasi un sogno. Giocare e segnare un gol al prossimo derby».
E l’obiettivo stagionale di Felipe Anderson qual è?
«Aiutare la Lazio, stare bene, aiutare la squadra con i gol, con gli assist, con le corse per recuperare il pallone. Voglio trovare costanza di rendimento e dimostrare il mio valore».