2014
A tutto Stefano Mauri: “Il carcere mi ha fortificato. Questa è la Lazio più forte in cui abbia giocato”
Stefano Mauri a 360°. Il capitano biancoceleste si confessa in un’interessante intervista sulle colonne della Gazzetta dello Sport, spaziando su vari temi, dall’esperienza in carcere agli obiettivi stagionali di questa Lazio. Ecco le sue parole:
Quella del carcere deve essere stata un’esperienza durissima.
“Sì, decisamente sì. Entri in contatto con un mondo che, finché non lo vivi, non puoi neppure immaginare. È qualcosa che però ti fortifica anche. Perché poi dopo non ti fa paura più nulla”.
Lei si è sempre proclamato innocente.
“E continuo a farlo, fiducioso che la verità venga a galla. L’inchiesta di Cremona credo sia alle battute finali. Spero nel proscioglimento, ma temo che avrò il rinvio a giudizio. Se così sarà affronterò il processo serenamente, convinto di poter dimostrare la mia estraneità”.
Ma non si rimprovera proprio niente?
“No, perché penso di non aver fatto nulla di male. Poi è chiaro che, col senno di poi, qualcosa la eviterei di fare”.
L’esperienza in carcere, in cui è rimasto per una settimana, a maggio del 2012, l’ha resa più forte. E’ questa la genesi della sua seconda giovinezza in campo?
“Non lo so. Molti mi fanno notare che il mio rendimento è migliorato dopo questa vicenda. Ma io non ne sono così sicuro”.
Sicuramente non è peggiorato come sarebbe accaduto a molti altri. Come ha fatto a isolarsi da tutto e continuare ad essere decisivo in campo?
“Non c’è un segreto, credo dipenda dal mio carattere. Sia in partita sia in allenamento sono sempre riuscito a concentrarmi sul mio lavoro. Senza farmi condizionare dal resto. E poi, forse, tutta questa storia mi ha fatto apprezzare ancora di più quanto sia bello giocare a calcio”.
E così, a quasi 35 anni, è ancora fondamentale. Addirittura capocannoniere, con 6 gol, della sua Lazio nonostante sia un centrocampista.
“In effetti non mi era mai capitato di essere a questo punto della stagione il giocatore col maggior numero di reti della mia squadra”.
Merito di cosa?
“Un po’ l’esperienza, un po’ Pioli. Il tecnico mi fa giocare da trequartista o da attaccante esterno. Molto avanzato quindi, e da lì è più facile segnare. E poi anche l’esperienza aiuta. Qualche anno fa correvo tanto, ma spesso a vuoto e così arrivavo scarico in area. Adesso corro meno, ma mi trovo sempre al posto giusto al momento giusto”.
Tutto qua?
“No, ci sono anche i consigli di Klose. Campione straordinario e compagno di squadra fantastico. In allenamento è uno che ti spiega i movimenti da fare, ti aiuta a migliorare. E nel calcio c’è sempre da imparare. Anche a 35 anni”.
Il tedesco è il compagno più forte che abbia avuto?
“Lui e Baggio. Con Roby ho avuto la fortuna di giocare a Brescia. Ero giovane, quanto ho imparato da lui… Sono stato fortunato ad averlo avuto come compagno di squadra”.
Con gli allenatori, invece, come la mettiamo? E’ stato altrettanto fortunato?
“Sì. Da De Biasi, che mi ha valorizzato e fatto crescere a Modena e Brescia, fino a Pioli. Ho imparato tanto da tutti”.
Lei c’era nell’ultima Lazio arrivata terza, nel 2007 con Delio Rossi. Questa Lazio di Pioli può fare altrettanto?
“Sono qui dal 2006 e non ho dubbi: questa è la Lazio più forte in cui io abbia giocato. Non so se basterà per arrivare terzi perché ci sono tante squadre in grado di centrare questo piazzamento. Ma ci siamo pure noi e faremo di tutto per riuscirci”.
Domenica c’è l’Inter. E’ il primo di una serie di scontri diretti che vi vedranno impegnati da qui alla fine di gennaio.
“Sì, un ciclo di ferro (dopo l’Inter ci saranno Samp, Roma, Napoli e Milan, ndr) che può essere decisivo. Dobbiamo partire con il piede giusto. Vincere a San Siro non sarà facile, ma possiamo provarci. Vogliamo andare alla sosta conservando il terzo posto”.
Nerazzurri più temibili ora che c’è Mancini?
“L’ho sempre ammirato, prima da giocatore poi da allenatore. Purtroppo non ho mai avuto la fortuna di essere un suo compagno di squadra o un suo giocatore”.
Domenica rivedrà Hernanes. Che non se la passa bene.
“Ed è un vero peccato. L’ho visto qualche tempo fa e mi spiegava, con grande amarezza, come i problemi fisici gli stiano impedendo di esprimersi come sa. Lui è uno che ha bisogno di allenarsi bene per poi rendere in campo. E questi guai fisici non glielo consentono”.
Quello di domenica per lei è come un derby, no?
“Da ragazzo tifavo Milan, è vero. Ma ormai mi sento solo laziale”.
Già. Il derby è un altro. E si sta pure avvicinando.
“Eh, manca meno di un mese e a Roma già non si parla d’altro…”.
A un derby è legato il momento più bello della sua carriera, giusto?
“Giusto. La Coppa Italia conquistata sulla Roma nel 2013 è stata una gioia unica, indescrivibile. Anche le due coppe del 2009, anche il terzo posto del 2007 sono stati risultati importanti. Ma quella Coppa alzata da capitano non ha eguali”.
Qualche rimpianto?
“Più che con la Lazio ce l’ho per la Nazionale. In azzurro ho giocato, ma non sono mai riuscito a trovare la continuità”.
Nove anni di Lazio. Ci sarà anche il decimo?
“Ho il contratto in scadenza, di rinnovo non abbiamo ancora parlato. Ma non c’è fretta. In primavera mi vedrò con i dirigenti e decideremo assieme”.
Di smettere, insomma, non ha ancora intenzione.
“No, però al “dopo” comincio a pensare. Mi piacerebbe allenare. Credo che prenderò quella strada”.
Juve o Roma per lo scudetto?
“Bella lotta, ma credo che la Juve abbia qualcosa in più. Penso che alla fine la spunteranno i bianconeri”.
E la Lazio ce la farà a vincere il suo scudetto, cioè ad andare in Champions?
“L’abbiamo sfiorata per due volte con Reja nelle scorse stagioni, anzi l’abbiamo buttata. Quest’anno non deve sfuggirci”.
Andrea Coppini