Capolavoro Pioli: il maestro che ha ritrovato l'amore dei laziali - Lazio News 24
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2015

Capolavoro Pioli: il maestro che ha ritrovato l’amore dei laziali

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Lazio, un miracolo firmato Stefano Pioli

La serie A è appena finita e ha emesso i suoi verdetti, la Lazio conquista con merito i preliminari di Champions League. Sette lunghi anni son passati dall’ultima volta che quella musichetta da brividi ha suonato nello stadio Olimpico colorato di biancoceleste. In panchina sedeva Delio Rossi e da allora l’unico a sfiorare tale impresa è stato Edy Reja, in entrambe le occasioni però spettò all’Udinese il ruolo di ficcanaso. Per differenza reti nella stagione 2010/11 e per distacco di due punti nel 2011/12, i capitolini hanno mancato l’accesso all’Europa delle grandi. Adesso è Stefano Pioli ad inseguire le orme del predecessore, per traghettare i laziali lontani dalle pene dell’inferno e ricondurli finalmente in paradiso.

Ingaggio criticato – Il traguardo raggiunto dalla Lazio ha veramente il sapore di miracolo sportivo, se riusciamo a tornare indietro di dodici mesi. Appena conclusa una stagione fallimentare, per sostituire lo spento Reja, il presidente Claudio Lotito chiama alla sua corte Stefano Pioli. “L’ha preso davvero, non ci credo! Perchè non Mancini?”, si chiedevano gli scettici tifosi biancocelesti. “Ha fatto retrocedere il Bologna”, era uno dei molti commenti pessimisti, influenzati da un recente nono posto finale. Tuttavia le idee del tecnico emiliano erano già chiare, coincidevano alla perfezione con quelle della dirigenza. L’obiettivo era di riportare entusiasmo in una piazza che dal 1900 vive solo di calcio: “Voglio una squadra con gli occhi della tigre”, furono le prime parole durante la conferenza di presentazione.

Avvio tribolatoFin dalle prime uscite si nota l’abbandono del catenaccio di Reja. Il 4-3-3 proposto è a trazione offensiva, squadra corta e rapido giro palla. I miseri tre punti però, racimolati nelle prime quattro gare, fecero aumentare i mugugni di un pubblico che, in piena contestazione con la società, continuava a disertare lo stadio. Ma l’inno “Non mollare mai” si era incarnato ormai sulla pelle di Pioli: “I nostri avversari si allenano come noi, per batterli dovremo allenarci almeno quanto loro e possibilmente meglio. Se non faremo ciò difficilmente riusciremo a batterli. Dobbiamo correre forte e veloce, lavorare tanto e bene”. Gli errori aiutano a crescere, la speranza nei propri uomini non l’ha mai abbandonata.

Uniti si vince – Sotto lo sguardo attento, severo quanto serve, del proprio allenatore la Lazio col passare delle giornate ha assunto sempre più consapevolezza della propria forza. L’esplosione di Felipe Anderson ha favorito la risalita in classifica, il ritorno in Europa diventava sempre più vicino di settimana in settimana. Il gioco era spettacolare, otto vittorie consecutive (solo Eriksson ha fatto meglio nella storia del club) inanellate in campionato e l’avanzata nel cammino in Coppa Italia non potevano essere solo frutto del caso. “Nella vita non bisogna accontentarsi mai, l’obbligo è guardare avanti, migliorarsi, richiedere a se stessi il massimo”. Ciò che ha colpito in modo particolare era l’unione del gruppo, una “banda” di semplici ragazzi capaci di essere squadra in campo e fratelli fuori dal terreno di gioco. “Dobbiamo remare tutti nella stessa direzione, solo così otterremo i risultati che vogliamo”, dichiarazioni di Pioli che venivano puntualmente accompagnate dai fatti. Qualsiasi calciatore veniva chiamato in causa, anche l’ultimo elemento della rosa, una volta entrato sul rettangolo diventava membro fondamentale di quell’unione. Non sorprende quindi che alla 38sima giornata Onazi e Ledesma, considerati pezzi marginali dello scacchiere, archivino insieme la pratica Napoli e regalino la possibilità di giocare in Champions.

Popolo innamorato – Aldilà dell’aspetto sportivo, che ovviamente conta e non poco, il pubblico laziale ha potuto ammirare dei calciatori che si sono impegnati al massimo per onorare la maglia con l’aquila al petto. Nel giro di pochi mesi si è passati dai 25mila spettatori di Lazio-Cesena ai quasi 50mila di Lazio-Empoli. Ogni gara dava l’impressione di essere una festa, i giocatori correvano inferociti sul prato verde e i tifosi cantavano di gioia sugli spalti. Il culmine della stagione è da considerare in due specifici eventi: la finale di Coppa contro la Juventus e l’allenamento di Formello a porte aperte, in seguito al derby Lazio-Roma 1-2. La prima gara resterà in eterno nella mente di chi quel giorno si trovava alla stadio. Intorno al 70′ si alzò dalla Curva Nord un urlo “Lazio! Lazio! Lazio!”, che sostenuto dalla Tribuna Tevere diventò sempre più veloce e forte d’intesità. Un grido unito, spontaneo di una tifoseria che riconobbe l’orgoglio di una squadra con “gli occhi di tigre”, una liberazione dopo troppe e ingiuste sofferenze. Secondo in ordine cronologico l’immenso “abbraccio” degli oltre 5mila sostenitori al centro sportivo di Formello, a 48 ore dalla maleaugurata stracittadina. Le due pesanti sconfitte avrebbero ferito l’animo di chiunque, ma non quello dei laziali. Dimostrazione di affetto incondizionato verso un gruppo, guidato da un signore, che ha combattuto fino alla fine per quel simbolo con le ali dorate.

Grazie di cuore mister! – Un capolavoro firmato Stefano Pioli, l’artefice in grado di rispolverare un sentimento da troppo chiuso in soffitta. “Le altre squadre hanno i tifosi, noi abbiamo un Popolo, una Famiglia”, questa è dal momento della nascita la caratteristica principale della Lazio. Testimone il gesto di Onazi che, al termine della battaglia ai piedi del Vesuvio, solleva in braccio e trascina per dieci metri il proprio mister, come se egli fosse un padre. Quest’annata resterà indelebile nel cuore dei laziali, i quali non smetteranno mai di esprimere gratitudine nei confronti di un grande uomo, un vero “maestro” di vita. Grazie Pioli!

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