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Candreva: «Volevo diventare un punto di riferimento, ma non me lo hanno permesso. La Lazio e i suoi tifosi rimarranno per sempre nel mio cuore»
Un amore complicato che poteva diventare eterno. Il rapporto tra Antonio Candreva e la Lazio si è chiuso quest’estate dopo 4 anni e mezzo. Il centrocampista dell’Inter è tornato a parlare della sua esperienza laziale, questa mattina ai microfoni di Radiosei.
Come mai hai deciso di lasciare Roma?
«Sono sempre arrivate delle proposte per la mia cessione ma fino allo scorso anno ero incedibile da quest’anno sono diventato cedibile. Forse la Lazio voleva fare cassa. Io volevo diventare un punto di riferimento ed invece non me lo hanno permesso. Ci tenevo alla fascia di capitano, quando Pioli mi ha detto di fare il Vice io ho rifiutato perché pensavo fosse più giusto che lo facesse chi per anzianità era da più tempo nella Lazio. Pioli non mi ha dato spiegazioni, mi ha detto che il capitano sarebbe stato Lucas, io sono tornato in camera, ci ho pensato un po’, ho richiamato il mister e gli ho detto che se non potevo fare il capitano non ero pronto nemmeno per fare il vice capitano. Ci sono rimasto male, ma può darsi pure non fosse una scelta del mister ma di qualcun altro. Da quel momento è cambiata la mia storia nella Lazio, non ero più lo stesso. Detto questo non potrò mai parlare male della società per quello che ero e quello che sono diventato qui a Roma.»
I primi tempi non sono stato certo semplici…
«Ricordo il viaggio in treno e poi quello in macchina dalla stazione a Formello. Ero in macchina con Manzini che mi ha fatto ascoltare tutti gli insulti di tutti i tifosi e delle radio. I primi giorni ho avuto un po’ di difficoltà, alcuni compagni mi hanno dato molti consigli, mi dicevano di far parlare il campo, di stare tranquillo e di dimostrare quello che era il mio valore. Reja è stato determinante, mi ha fatto sentire importante e non potevo deluderlo. Poi però è arrivata la svolta, dopo il gol contro il Napoli andai sotto la curva, non fu una cosa preparata, fu una cosa istintiva, li cambiò qualcosa nel rapporto con i tifosi. Non ho pensato ad una pace tra me e la gente ma mi sentivo più tranquillo e che potevo solo migliorare da quel momento in poi. Sono cambiate tante cose, ho sentito la fiducia della gente. Nelle partite successive mi sentivo sempre più parte della Lazio, poi il riscatto del 50% mi ha fatto capire che anche la società credeva in me.»
Che cosa si prova a giocare il derby della Capitale?
«Era un casino, la tensione si respirava sia dentro che fuori Formello. Erano tutte emozioni positive però, che facevano bene a me ed ai miei compagni.»
Gli allenatori e la storica finale del 26 maggio…
«La prima stagione di Petkovic fu bellissima, soprattutto la prima parte. Nel finale di stagione eravamo stanchi ma poi ci fu il 26 maggio, il derby più importante della storia. Prima di quel derby non tirava un aria positiva, siamo stati a Norcia qualche giorno. Io ero in camera con Marchetti e la sera prima non abbiamo dormito, ci dicevamo che non potevamo perdere. Alle 6 Federico è uscito dalla camera per andare a fare un giro. Fu una brutta partita con zero occasioni, tranne una quella di Lulic. Con la maglia di quel derby ci ho fatto un quadro ed ogni volta che salivo le scale quando ero a Roma la vedevo e pensavo a quel momento.»
La notte della Champions a Napoli…
«Quella notte a Formello fu bellissima c’era tantissima gente che voleva solo festeggiare con noi, anche dopo la semifinale sempre al San Paolo ci accolsero in tanti. Sono tanti i momenti che ricorderò nella Lazio e mi rimarranno tutti nel cuore così come i tifosi. Con Marchetti, Biava e Radu avevo un rapporto speciale erano diventati dei veri e propri amici.»