Editoriale
Ciao Pino, l’unico capitano di tutti i laziali
La Lazio saluta Pino Wilson, storico capitano dei biancocelesti. E non solo per quello scudetto del 1974…
Parlare di Pino Wilson oggi è profondamente difficile. Impossibile farlo senza commuoversi e senza aprire l’album dei ricordi. Ancora una volta il destino, beffardo e maligno, è tornato a bussare alle porte della Lazio. E ancor di più alle porte di quella squadra, tanto magica e folle quanto terribilmente sfortunata.
Infatti appare quasi inutile e superfluo parlare di Maestrelli, Re Cecconi, Frustalupi, Chinaglia, Facco e Pulici. Tragedie che ancora oggi colpiscono al cuore di una tifoseria che ha quella squadra scolpita nella memoria, pur magari senza averla vissuta. Una squadra fatta di uomini veri. Pura poesia, ma anche tanta follia. Uno spogliatoio spaccato in due, con la partita del venerdì che paradossalmente era quasi più importante di quella domenica. Nessuno che tirava indietro la gamba. Ma, come per magia, la domenica tutto cambiava e quella polveriera diventava un gruppo vero, unito d compatto. Un gruppo che ha conquistato un sogno chiamato scudetto.
Pino Wilson era il capitano di quella che, ancora oggi, viene chiamata Banda Maestrelli. Il Maestro aveva scelto lui come leader. Il loro rapporto è storia e il fatto che il difensore riposerà nella tomba di famiglia dell’allenatore ne diventa l’emblema. D’altronde il nativo di Darlington in campo era un autentico leone, un difensore roccioso, vecchio stampo, un libero duro puro, che faceva del tackle, degli interventi in scivolata e del colpo di testa i suoi punti di forza. Un giocatore però noto anche per l’eleganza, lo stile e quel suo rivolgersi agli arbitri con le mani dietro la schiena. Insomma, il simbolo e il collante della Lazio scudettata e il vero e proprio idolo di un popolo intero.
A distanza di anni però lo chiamavano tutti ancora capitano, anche chi non l’ha mai visto giocare, ma si è affezionato alla sua voce e ai suoi racconti. E questo perché la Lazio ormai per lui era una vera e propria seconda pelle. E poi c’era l’iniziativa Di Padre in figlio, creata e ideata con Giancarlo Oddi, fratello dentro e fuori dal campo. Un’iniziativa che, con il senno di poi, sembra quasi essere un regalo a chi l’ha trattato da eroe. Parlarne oggi è veramente difficile. Perché restano solo i ricordi e il pensiero che finalmente possa riabbracciare Giorgio Chinaglia e Tommaso Maestrelli, compagni mille avventure. «Quanti non ci sono più, ma vivono perché esisti tu», cantava Aldo Donati. E, per quanto ora faccia male, non c’è nulla di più tremendamente vero.