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Baronio: «Lotito diverso da altri presidenti. Vi racconto gli allenamenti di Zeman»

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Roberto Baronio, ex calciatore biancoceleste, ha parlato così della sua esperienza con la maglia della Lazio e del rapporto con il presidente Lotito

Intervenuto ai microfoni di Chiamarsi Bomber, Roberto Baronio ha parlato così della sua esperienza con la maglia della Lazio:

PAROLE – «Il nostro cordone ombelicale è iniziato nel ’96 ed è rimasto intatto fino alla fine del contratto. Io ho girato tanto perché volevo giocare, mettendo in secondo piano il lato economico. Con la Lazio c’è stato un bellissimo rapporto: con la prima proprietà di Cragnotti ho giocato poco ma ho vinto tanto perché era una squadra di campioni. Sono stato poco protagonista ma non posso darmi colpe perché in quella squadra c’erano giocatori del calibro di Stankovic, Simeone, Veron, Almeyda, Dino Baggio. Era una squadra allestita per vincere e imporsi da titolare era difficile, per quel motivo cercavo una scorciatoia per giocare altrove. Poi c’è stata la seconda proprietà, quella di Lotito, dove io sono rientrato a Roma dopo due anni al Chievo e si è fatto bene. Ho vissuto due epoche totalmente diverse ma rimane un profondo affetto per questa squadra, questo club e questi tifosi che mi hanno dato più di quanto io ho dato a loro.

Lotito? È un grande lavoratore che tende a esprimersi in maniera diretta rispetto ad altri presidenti. Va valutato per quello che ha fatto alla Lazio: ha dato una grossa mano quando la società era in grosse difficoltà e poi ha fatto il suo. Ero in buoni rapporti quando giocavo, poi alla fine non ci siamo lasciati benissimo perché mi aveva fatto delle promesse che non ha mantenuto ma ormai è storia passata.

Allenamenti di Zeman? Sì, erano molto duri. Ho parlato anche con ragazzi che l’hanno avuto negli ultimi anni a Pescara o a Foggia e faceva gli stessi allenamenti che faceva con noi nel ’96. Non ha mai vinto grandi trofei ma ha fatto una carriera importante. Ricordo ancora i primi giorni di ritiro alla Lazio che erano devastanti: io e altri compagni vomitavamo per la fatica ma a lui non importava, ci diceva di finire di vomitare e riprendere a correre (ride, ndr). All’epoca avevo 17 anni e non pensavo di poter resistere ai 21 giorni di ritiro in quel piccolo paese della Repubblica Ceca. Alla fine sono sopravvissuto ma è stata davvero tosta».

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