2014

Biglia si racconta: “Sono in Nazionale grazie alla Lazio. E’ stata la scelta giusta, non ho rimpianti”

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Il centrocampista argentino della Lazio, Lucas Biglia, originario della cittadina di Mercédes, é stato protagonista di una serata in suo onore nella sua città natale: nella cornice del Teatro Comunal ha parlato a ruota libera della sua vita, della sua carriera e della Nazionale. Prima delle domande, Biglia ha parlato anche di Miro Klose, esaltandone le caratteristiche e le qualità umane: “Avere un compagno in squadra come lui, così umile e professionale, mi rende orgoglioso. Il primo giorno negli spogliatoi sono stato 20 minuti a parlare con lui. In squadra accade lo stesso, questo è il bello del calcio. Tra l’altro al di fuori del pallone, condividiamo un altro hobby: il tennis. Lo viviamo con grande intensità perché a nessuno dei due piace perdere. Ho vinto la prima prima partita, la seconda è toccata a lui. Alla terza abbiamo messo le cose in chiaro perché il gioco si stava facendo duro”. Di seguito l’intervista completa riportata da fmlatribuna.com.ar:

Le sensazioni per la Coppa del Mondo?
“Tutto appare difficile, a volte ci si dimentica di questa vita normale. Ho la fortuna di avere due figli divini e sono quelli che mi riportano nella realtà”

La tua storia con la maglia dell’Argentina inizia con il Sub Under 17 nel 2003…
“E’ stata un’esperienza bellissima, nonostante avessi giocato in altre categorie prima di quella. Siamo partiti con un gruppo forte e pieno di bravi ragazzi, tutti con un unico obiettivo: vincere. E’ stato bello. Per il livello Under 17, l’Argentina non aveva mai fatto nulla di buono”.

Cosa ricordi del gol fatto al Paraguay?
“Bellissimo. L’ho dedicato a mio padre. Lui mi ha sempre detto “stoppa e tira”. Nelle partite successive ci sono stati alcuni infortuni, perché giocavamo su campo di erba sintetica. Io sono caduto e mi sono rotto la spalla, la mia esperienza finì lì. Poi in semifinale abbiamo perso contro la Spagna, con un golden gol di Fabregas”

Nell’Under 20 eri il capitano insieme a Zabaleta, è vero che avete chiesto al mister di mettere Messi in campo?
“Pancho Ferraro era l’allenatore. La prima partita perdemmo 1 a 0 contro gli Stati Uniti. Avevamo visto quel ragazzo in allenamento ed era fortissimo. Fece tanti gol e alla fine la ragione ce l’avevamo noi”.

Raccontaci la tua prima convocazione…
“Giocavo in Belgio e Batista mi chiama. Penso sia uno scherzo, ho lasciato molti amici in Argentina e ogni tanto si divertono così. Riattacco. La chiamata arriva di nuovo, ‘Luca mi senti? Volevo dirti che giochiamo un’amichevole contro il Brasile negli Emirati Arabi e ti aggiungiamo alla lista dei convocati’. Ero infortunato, ma il medico ha fatto un mezzo miracolo. Non mi aspettavo quella chiamata”.

Hai avuto infortunii gravi nella tua carriera?
“No, solo nel 2003 alla spalla. Un’altra prima del Sub 20, un brutto colpo alla caviglia che mi ha fatto saltare un’amichevole”.

Qual è stato il debutto perfetto?
“Già indossare la maglia dell’Argentina è una cosa bellissima. E’ tipo sognare. Al debutto si pensa a cosa rappresenta la tua figura in campo in quel preciso momento, niente di più. Con il Portogallo entrai dalla panchina, ho cercato di camminare il più naturale possibile, ma ero emozionato. Non è stato facile”.

Quando hai realizzato che potevi far parte seriamente del gruppo Mondiale?
“In realtà a novembre. Ho iniziato a giocare fuori dal Belgio, in un campionato più competitivo dove il livello è molto alto. In quel mese spesso si giocano amichevoli internazionali e sono stato chiamato”.

I tuoi inizi sono stati proprio qui..
“Sì, all’età di 4 anni. Insieme a mio fratello Cristian ho iniziato a giocare a calcio. Mancava uno in campo, c’è una foto in cui indosso i guanti da portiere…”.

Poi un giorno è arrivata la possibilità di giocare in una delle serie inferiori argentine…
“Sì, in quel momento ha deciso di giocare la Argentina Students League. Vi partecipano giocatori che non giocano in tornei ufficiali il sabato e decisi, con mio padre, di iscrivermi. Dopo una vittoria per 6-1 uno dei coordinatori parlò con mio padre e mi fecero firmare un contratto per una squadra. Ho cominciato a viaggiare, a vedere le cose in maniera diversa. E’ stato difficile perché stavo fuori casa fino alle 20 e quando tornavo volevo solo mangiare e andare a dormire”.

Che ricordo hai dell’Independiente?
“Mi ha dato la possibilità di giocare in Argentina. Sono andato in una grande squadra dove c’era Menotti come dt. Ricordo che giocai la prima partita contro il Lanùs: Menotti mi chiamò, andai nel suo ufficio, mi disse che si fidava di me, che potevo fare la differenza”.

Poi il passaggio in Belgio…
“Sapevo dove stavo andando, ho avuto la fortuna di parlare con Nicolas Frutos che era stato mio compagno di Independente e mi disse di non esitare, che erano pazzi di me e che la giovane età mi avrebbe aiutato. Loro giocavano la Champions League e l’idea era quella di trascorrere due o tre anni e trasferirsi in un campionato più grande, poi ho passato 7 anni con loro.”

All’Anderlecht hai vissuto molte esperienze, sei stato li per 7 anni…
“Mi hanno dato l’opportunità di arrivare in Europa, di giocare la Champions, di costruirmi un nome. Sono molto grato a loro e non è stato facile andare via. Prima di andare in Italia si è parlato di Real Madrid e Arsenal I grandi club, per gestire l’acquisto di determinati giocatori, mettono in giro nomi di altri a cui sono interessati, ma sono sempre stato il terzo o il quarto della lista per queste squadre, mai il primo”

Come vivi il tuo presente nella Lazio?
“La lontananza a volte rende le cose complicate, ma c’è gente che mi segue, mi mostra la strada migliore da seguire, mi consiglia su cosa fare. Non posso dire di aver fatto la scelta sbagliata perché quello che sto vivendo oggi è il risultato di questa scelta”

Adesso fai parte della Nazionale…
“La cosa migliore che mi è successo da quando gioco a calcio. Non ci sono parole per descrivere cosa si prova quando si indossa la maglia dell’Argentina e si sente l’inno, è un’emozione indescrivibile”

 

 

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