2015
Cataldi come Gerrard e Fabregas, quando la fascia da capitano è una questione di storia
Diventi capitano perché lo decidono gli altri. Non ti prendi la fascia, te la consegnano. Un’incoronazione che fa di te un calciatore diverso. Ci sono i capitani eterni e di passaggio, capitani eletti per suffragio universale dallo spogliatoio, alcuni molto amati, altri sopportati, capitani che si fanno rispettare da tutti – colleghi e avversari – per l’autorevolezza che emanano, altri che starnazzano come oche in calore, ma non se li fila nessuno. Non si è mai – però – capitani per caso. Il ventenne Danilo Cataldi che ha chiuso Lazio-Fiorentina con la fascia al braccio rinverdisce la tradizione dei capitani giovani, «asbolute beginners», sbarbatelli che un giorno si trovano con la corona in testa e la fascia al braccio.
A parte le rare eccezioni, si è sempre pensato che il capitano dovesse avere le stellette, come al militare. Ti fai la gavetta, poi sei autorizzato a parlare (con l’arbitro). Ma se si va a spulciare tra le pieghe della storia (della fascia) si scopre che spesso i capitani sbarbatelli poi fanno carriera. Come riporta Il Corriere dello Sport, Gerrard a 23 anni era già il riferimento del Liverpool, Fabregas a 22 anni era capitano dell’Arsenal, Moutinho a 21 dello Sporting Lisbona, Van der Vaart sempre a 21 dell’Ajax, un altro olandese, Strootman, detiene il record di capitano più giovane dell’Oranje: fu l’allora ct Van Gaal a incoronarlo appena ventiduenne. Disse: «Kefir non parla molto, ma è un esempio». Quello devi essere: un esempio. Il capitano azzurro più giovane di sempre è Bruno Nicolè: 21 anni e 61 giorni, a Bologna nel 1961, contro l’Irlanda del Nord, era il debutto dell’oriundo Sivori in azzurro. Fu la sua penultima apparizione in azzurro. L’ultima la giocò senza fascia. E il potere svanì. A 27 anni Nicolè abbandonò il calcio e si diede all’insegnamento. La sua materia: educazione fisica. Il portiere Giuseppe Zinetti divenne capitano del Bologna alla seconda presenza in serie A, nel ‘79, contro l’Inter a Milano, a 21 anni non ancora compiuti. Quel giorno parò tutto e dopo l’uscita dal campo di Roversi si ritrovò la fascia al braccio. A sua insaputa, diremmo oggi. A fine gara i compagni gli saltarono in groppa per festeggiarlo e lui non trovò di meglio che fare il gesto del pollice alzato, come aveva visto fare alla tv nella serie «Happy Days». Da quel giorno lo chiamarono Fonzie, ma questa è un’altra storia.