Chiappaventi, giornalista La7: "La Lazio del '74 bella e rivoluzionaria" - Lazio News 24
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2014

Chiappaventi, giornalista La7: “La Lazio del ’74 bella e rivoluzionaria”

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«Quella squadra, dopo quarant’anni, racconta ancora il gusto di andare oltre il limite. E, mi dico ogni volta, questo vuol dire essere leggenda». Guy Chiappaventi, inviato di La7, guarda all’indietro, all’eredità del suo lavoro. Il suo lavoro è un libro, «Pistole e palloni» (237 pagg., 16,50 euro, ed. Ultra SportCastelvecchi) che in questi giorni rivede la luce dopo 10 anni in una ristampa aggiornata. Ma il suo lavoro è soprattutto uno sguardo romanzato e insieme critico su una delle imprese più grandi del calcio italiano. Lo scudetto biancoceleste del 1974. Ecco l’intervista completa de La Gazzetta Dello Sport: 

Chiappaventi, 40 anni dopo quella squadra ha ancora molto da dire. Perché?
«Intanto perché rovesciò le gerarchie a Roma. Settecento giorni prima esisteva la Lazietta, in modo spregiativo, in Serie B. Due anni dopo c’è solo la Lazio campione d’Italia. E poi gli altri fattori più romanzeschi e identitari. Quei giocatori sono diventati grandi nella Lazio. Non lo erano prima e non lo saranno dopo. E l’atmosfera di tragedia. Maestrelli ucciso da un tumore quando era corteggiato da Juve e Nazionale. Re Cecconi morto per un tragico scherzo, Chinaglia transfuga in America, Martini a inseguire il sogno di pilota…».

Nel suo libro il tempo sportivo e il tempo sociale passano assieme. Quella Lazio vince in un’Italia schiaffeggiata dal Sessantotto. Quale fu la rivoluzione della Lazio?
«Era figlia del calcio olandese. Giocava a ritmi vertiginosi, con due terzini, Martini e Petrelli, che erano ali. Nata un pezzo alla volta con scarti delle big. Frustalupi dall’Inter, Petrelli dalla Roma. E poi era politicamente, anzi eticamente scorretta. Una squadra istintiva, che in campo picchiava. Si ribellava ai valori stabiliti. Quella squadra si può capire solo se si pensa ai giovani degli anni Settanta. Alla conflittualità. Di destra o di sinistra».

Forse più di destra…
«Non andrei così spedito. Mi spiego. Frustalupi era di sinistra, Maestrelli un ex partigiano, Oddi di una borgata popolare. Poi c’erano Chinaglia o Re Cecconi simpatizzanti di destra. Ma credo che quella squadra non vedesse l’estremismo come valore politico. Piuttosto ne apprezzava il machismo. Anche la moda delle pistole era figlia di quegli anni difficili e violenti. Chinaglia girava con il Winchester, pare Martini avesse un M16…».

Spogliatoio conflittuale. Come poteva guidarlo uno tanto diverso come Maestrelli?
«Perché aveva una grande forza morale. Ancora oggi i giocatori mi dicono: “Lui ti guardava. In silenzio. Trenta secondi che a te sembravano trenta ore. E ti aveva preso”. Aveva una forza mite ma inesorabile. Poi certo, anche astuzia, psicologia e senso tattico. Sapeva prendere quella gente come nessuno al mondo. Un uomo unico dentro una squadra

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