2013

Cronaca di un altro autogol della Curva Nord: ma essere Ultras significa questo?

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Termine Ultras (Wikipedia): “Con il termine ultras si definisce un tifoso organizzato di una determinata società sportiva […] L’ultras è caratterizzato da un forte senso di appartenenza al proprio gruppo e dall’impegno quotidiano nel sostenere la propria squadra, che trova il suo culmine durante le competizioni sportive”. Doverosa questa premessa, perchè si sta perdendo la bussola. Doverosa perchè viviamo in una società, prima di tutto di maleducati e poi, ma non meno importante, di ignoranti. Il discorso da fare sarebbe ampio, ma ci limitiamo a parlare di Lazio e di tutto ciò che la circonda. Ci limitiamo quindi a parlare di quello che è successo oggi all’Olimpico.

E’ il 15 settembre 2013, un giorno come un altro, in una piovosa giornata romana. Non è un romanzo, bensì una della tante occasioni in cui la Curva Nord prende di mira il presidente Lotito, reo di aver condotto, per l’ennesima volta, un mercato al di sotto delle aspettative. Corteo alle 12 da Ponte Milvio e contestazione che prosegue fino all’Olimpico, con l’entrata in campo degli uomini della Curva 15 minuti dopo il calcio d’inizio (accadde la stessa cosa nel 2010, proprio contro il Chievo). Si potrebbe pensare al silenzio più assoluto, con lo stadio ancora una volta senza la regia più bella e allo stesso tempo rumorosa (in senso buono, sia chiaro). Nulla di tutto ciò. Siamo in prossimità del calcio d’inizio dell’incontro quando le poche persone presenti iniziano a lanciare tra i 15 e i 20 petardi tra i seggiolini (ovviamente vuoti) della Curva. La maggior parte arrivano in prossimità delle barriere con i distinti, sia est che ovest. Momenti non particolarmente felici. Si racconta di padri che abbandonano l’impianto con i loro bambini, terrorizzati da quelle “bombe”, con i loro occhi ingenui e quella testolina con mille pensieri dentro. Hanno paura, vogliono vedere la partita. Vogliono vedere Klose, Candreva, Marchetti. Vogliono sentire i cori. Si sentono traditi dai loro stessi “amici”, laziali come loro. Che dovrebbero essere come loro. Assecondarli, farli sentire a casa. Nella loro casa.

Questo non è calcio. Non lo è, come non lo era lo scorso anno quando ci fu l’episodio dei buu razzisti, dei saluti romani. Il calcio è altro. E occhio, l’Ultras non è “chi fa casino o a botte per la propria squadra”. Leggere in alto per credere. Il tifoso, quello di calcio, è un altro. Il tifoso, quello di calcio, tiene alla propria squadra e ai propri tifosi. Tiene conto dei bambini, esseri che non vanno sfiorati, toccati, minimamente infastiditi. E occhio. Occhio perchè ci rimette anche la squadra (ricordarsi dei quarti di finale a porte chiuse contro il Fenerbahce), perchè la Lazio ha bisogno dei suoi tifosi, ha bisogno della sua gente. Occhio a parlare anche di Ultras. Leggetevi il significato della parola. Vedere per credere. Non siate ignoranti. Fate i tifosi. O gli Ultras. Ma quelli veri. Basta autogol. Il calcio è altro. E se davvero fosse questo, allora non fa per me.

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