2015

Da casa della nonna fino a certezza del centrocampo albiceleste. Ecco come Biglia ha conquistato e commosso il mondo

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“Principito” si nasce, non si diventa. L’edizione odierna del Corriere dello Sport racconta la crescita sportiva di Lucas Biglia, partendo dai primi anni della sua vita. Da piccolossimo giocava dalla nonna con suo fratello Cristian, la porta era una piscina gonfiabile (acquistata dal padre Migel “Pego”) ed era appoggiata sul muro di protezione che il povero vicino aveva eretto per evitare le pallonate: “Se la palla scavalcava il muro non andavamo a prenderla… “.

 

Albori di carriera – All’eta di 4 anni, Lucas iniziò a dare i primi calci sul prato verde nel Quilmes, un piccolo club. Il suo allenatore, “Pocho” Gomez, lo schierò inizialmente in porta ma lo spostò presto a centrocampo. Dal Quilmes passò poi all’Estudiantes Mercedes (squadra della sua città) squadra in cui il padre iniziò la carriera da allenatore. Durante un torneo, fu notato da un osservatore dell’Argentinos Juniors. L’allenatore di quel gruppo s’avvicinò a papà Biglia e gli disse: “Mi interessa quel biondino che gioca a centrocampo, vorrei parlare con il padre”. Il piccolo fece una prova nel 1997, superò il provino. si divideva tra i baby dell’Argentinos Juniors e l’Estudiantes del papà, a volte la domenica giocava due volte: “Nessuno sforzo, lo facevo per voglia”. La mattina a scuola, il pomeriggio ad allenarsi fino alle 8, poi cena e a letto, questa la dura giornata di Lucas. Nella prima squadra dell’Argentinos arrivò a 17 anni, il club era in crisi, i giovani promettenti erano l’unica certezza. Il tecnico Batista lo conosceva dalle giovanili, lo scelse subito: “Con me giocherai tu”. Gli insegnò ad impostare il gioco, la regia era nelle sue mani. Successivamente il passaggio all’Independiente, Il tecnico Falcioni un giorno gli prese la mano: “Mi disse che la maglia 5 era mia, che il posto da titolare dipendeva da me, non dai giocatori che sarebbero arrivati”.

 

Consacrazione –Lucas Biglia saluta il Sudamerica a soli 20 anni, ha scelto l’Anderlecht. In Belgio è cresciuto tecnicamente, è diventato uomo e ha debuttato in Champions League. La vita però non fu mai facile per lui. La morte del padre nel 2008 lo sconvolse, da quel momento porta sempre con sé una maglia con il suo volto. Rischiò di cadere in depressione: tornò a casa in Argentina, straziato dal dolore, sentiva la testa scoppiare, si chiuse per 10 giorni in una stanza buia, i medici gli prescrivevano cure. La forza interiore, l’amore della sua famiglia e la passione per il calcio, lo aiutarono. Ne uscì senza toccare mai gli anti depressivi. Le chiamate della Lazio e dell’Argentina gli hanno restituito forza e motivazione. Adesso Lucas è uno dei migliori centrocampisti del panorama mondiale, giocatore completo, in grado di gestire fase difensiva e quella di costruzione della manovra. Elemento insostituibile del centrocampo di Pioli, la fascia ormai è di sua proprietà, il posto da titolare nella sua Nazionale non può rubarlo nessuno. E Biglia non si ferma certo qui, con la sua grinta e la sua forza morale ha ancora molto da dimostrare.

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