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‘Di Padre in Figlio’, parlano Colabona e Argentini: «Stiamo preparando qualcosa di speciale. Sarà la festa del tifoso laziale»
Questa mattina sono intervenuti su ElleRadio, all’interno della trasmissione “I Laziali Sono Qua” il regista della serata “Di Padre in Figlio”, Sergio Colabona, e l’autore Fabio Argentini.
Prende la parola Colabona: «Quello del 23 maggio sarà un appuntamento irrinunciabile per ogni laziale. Sarà uno spettacolo per tutti, ma il vero show dovrà essere quello che si vedrà sugli spalti, vivere finalmente una serata all’insegna della gioia di essere laziali. Con Fabio stiamo preparando grandi momenti che ricorderanno la storia della Lazio, che posso definire una malattia che ha contagiato tantissime persone e che è ancora in grado di far emozionare. Un evento che sarà straordinario anche grazie al lavoro di Augusto Santucci e di tutto lo staff.»
Sottolinea Fabio Argentini: «Lo spettacolo che abbiamo scritto anche assieme a Danilo Galdino trova la sua completa realizzazione nella partecipazione del pubblico. Sergio mi è stato presentato da un comune amico e il primo approccio è stato decisivo. Ha infatti preteso che ci vedessimo su una panchina di Piazza della Libertà, e questo dice già tutto. Ma personalmente ho faticato a parlare dell’organizzazione dello spettacolo, perché ha iniziato a raccontare una serie di aneddoti di lazialità straordinari, che dimostravano quanto e per quanti anni lui avesse vissuto la Lazio sulla sua pelle. Sergio ha preteso di collaborare all’evento senza compenso, e rappresenta un vero archivio vivente della storia della Lazio.»
Continua Colabona: «Questa è la festa del tifoso della Lazio, è un messaggio che deve essere chiaro a tutti. Significa essere accomunati da un ideale che si chiama Lazio: ritrovarsi in un bar tutti con storie differenti, ma con un unico comune denominatore, la Lazio.»
Poi il regista svela qualche simpatico aneddoto:«Ricordo una mia prima fidanzatina: un giorno che ero stato insieme a lei e la Lazio aveva perso, un segnale che mi ha suggerito come fosse meglio lasciarla lì. Sono rituali che si tramandano, dalla scelta dei vestiti il giorno di un derby. La prima partita che ho visto è un Lazio-Livorno, accompagnato da mio papà. Per me personalmente esisteva solo la Lazio, in barba a chi diceva che prima dello Scudetto del ’74 i laziali non esistevano. Ma con l’arrivo di Giorgio Chinaglia si ribaltarono i rapporti di forza, e l’identità di Chinaglia era completamente sovrapposta a quella della Lazio.»
Ma secondo Colabona come si possono descrivere tre emblemi della lazialità come Giorgio Chinaglia, Luciano Re Cecconi e Tommaso Maestrelli? : «Forse se lo può ricordare anche Fabio Argentini: all’epoca c’era un giornale per ragazzi chiamato L’Intrepido. Ogni settimana c’era un calciatore: Chinaglia fu il primo giocatore della Lazio in copertina, segno dei tempi inequivocabile. Io volevo fare il centravanti perché c’era Chinaglia, lui era un poster, un’icona. Piansi quando venne sostituito ai Mondiali del ’74 durante Italia-Haiti. Maestrelli era il collante per quel gruppo dalla straripante personalità: sicuramente si sarà arrabbiato in qualche occasione, ma non ricordo o riesco a immaginarlo irritato. Re Cecconi ai laziali piaceva molto, mi dispiaceva quando leggevo di rivalità nello spogliatoio, ma col senno di poi quella rivalità era sana.»
I giocatori di personalità sono indispensabili. Spiega Fabio Argentini: «Cragnotti dopo una partita giocata a Madrid mi disse che aveva capito che avrebbe finalmente vinto qualcosa di importante dopo aver preso Simeone.Il Cholo meriterebbe un film su di lui solo per il modo di stare in campo. Un personaggio che trasmette una forza e una concentrazione senza pari: dopo l’impresa di Monaco ha richiamato i suoi che stavano facendo tardi dicendo: Oh, qui c’è una Liga da vincere!»