2014
Ego Sum Claudio Lotito
Alcune idee innovative e lo scontro duro coi tifosi. La voglia di rinnovare e i modi troppi bruschi nel farlo. Il tutto condito da citazioni latine. Dieci anni fa entrava nella Lazio un presidente destinato a dividere. Senza sconti nelle domande, ecco la sua idea su debiti, curva, Lega. E Roma: «Da quattro anni in rosso»
Uno dei rischi di un’intervista con Lotito è però l’orario. Il presidente biancoceleste è noto per le lunghe ore di attesa che commina ai suoi astanti: del resto fece aspettare a lungo anche l’allora AD di Sky che doveva firmargli un contratto da 50 milioni. A noi però va bene, e dopo solo un’ora di attesa arriva. Per evitare l’altro rischio, quello degli almeno tre telefonini che si porta appresso, siamo riusciti a farci mettere in una sala quasi schermata – ma a lui non lo diciamo – e infatti in oltre due ore gli squilla solo una volta.
19 luglio 2004. “E’ il più bel giorno della mia vita da imprenditore“, commenta Lotito in quel caldo giorno d’estate che vide i biancocelesti sull’orlo del fallimento. “Lotito è un imprenditore serio, sa il fatto suo e come muoversi, grazie a lui la Lazio avrà un gran bel futuro” disse il suo predecessore, il compianto avvocato Ugo Longo. Quel giorno i tifosi della Lazio fecero festa sotto la Curva Nord dell’Olimpico. E si ricordano le immagini di una trasferta a Bologna in cui Lotito calma i tifosi che lo acclamano inneggiando il coro “Duce, Duce”.
Ma superato il primo anno, il rapporto con la tifoseria, prima quella più calda della Curva Nord, poi la quasi totalità, è andato deteriorandosi, al punto che all’Olimpico si presentano ormai in poche migliaia, e che in un Lazio-Sassuolo dello scorso febbraio erano in 50mila in piedi con i cartelli “Libera la Lazio”. Un ingloriosa chiusura del decennio lotitiano alla guida della SS Lazio, e lui sembra accusare il colpo quando inizia a parlare dei momenti belli e brutti dei suoi anni da presidente.
“Il momento più brutto è quando vedi che la gente non ha fiducia in te, anche se lavori h 24 per cercare di fare il bene di questa società e l’interesse dei tifosi, mentre il momento più bello sarà quando avrò avuto la possibilità di entrare nel cuore dei miei tifosi”.
Dieci anni di gioie e dolori, di contestazioni e vittorie.
“Bene o male abbiamo vinto due Coppa Italia e una Supercoppa contro Mourinho. A livello giovanile abbiamo uno Scudetto, oltre alla Coppa Italia Primavera dopo 35 anni. Potrei dire che la Lazio è la squadra che ha vinto negli ultimi cinque anni più del Napoli, della Fiorentina e di tante altre. Ricordo che mi si contestavano i mancati investimenti sul settore giovanile, che invece oggi ha il ranking più alto d’Italia. Ho capito che questo a Roma vuol dire poco. Le accuse contro di me non sono altro che processi di mistificazione volti a destabilizzare la mia azione, che punta a togliere i mercanti dal tempio”.
Le imputano un “difetto”, una sua presunta pregressa fede romanista, confermata anche da Storace, e dall’avv. Mauro Baldissoni che disse:” E’ romanista, lo sanno tutti”.
“Scusi, chi è Baldissoni?”
Il Direttore Generale della AS Roma.
“Ah quindi io sarei romanista. Comunque guardi, Baldissoni non ho mai avuto il piacere di conoscerlo prima di incontrarlo in Lega Calcio [ah, quindi sa chi è, NdR]. Per quanto concerne la mia lazialità, non deve assolutamente essere certificata. Sono sempre stato laziale , avevo l’abbonamento della Lazio. La mia lazialità nasce a cinque anni, trasmessami dal fidanzato della mia tata, e da allora – era il 1961 – sono sempre stato laziale. Questo lo possono testimoniare i miei compagni di scuola, e persino l’ex presidente del CONI, Petrucci”.
Dov’era il 12 maggio 1974, il giorno del primo Scudetto della SS Lazio?
“Ero allo stadio, mi pare in Tribuna Tevere. Di quel tempo ho persino un autografo di Chinaglia su un foglietto a quadretti che mi fece quando venne a trovarci a scuola con la sua Lancia HF”.
Chinaglia lo ha poi rincontrato a Rieti, nel 2004, in occasione della Sua prima partita da presidente.
“Ero arrivato da pochi giorni, e lui tentò di inserirsi con un meccanismo che passava attraverso l’apporto di sponsor. Poi in seguito ci sono state delle disavventure, delle situazioni imbarazzanti. Se non avessi avuto la prontezza di spirito di fermare tutto, probabilmente la Lazio avrebbe fatto una brutta fine”.
Lei è anche accusato dai tifosi di aver “delazializzato” la SS Lazio. Non potrebbe essere utile portare alla Lazio un uomo immagine, tipo Nesta o Rocchi. Le faccio l’esempio di Alfredo Di Stefano al Real Madrid.
“La mia filosofia è quella di non trasformare la lazialità, uno stile di vita, in un sistema di autosostentamento. Non mi risulta però che Nesta abbia mai avuto la volontà di tornare. [Il giocatore dichiara il contrario, NdR]. E poi guardi, non tutte le persone hanno le qualità caratteriali per ricoprire alcuni ruoli. Noi abbiamo un team manager, Maurizio Manzini, che è con noi da 40 anni. Un tempo che gli permette di incarnare la storia della Lazio più di tutti. Ma se un ex giocatore ha le qualità adatte, allora noi le utilizziamo, perché quel giocatore rappresenta la storia.
Quanto Le è costato salvare la Lazio, e che situazione ha trovato?
“Guardi, quando sono entrato nella Lazio la società aveva 84 milioni di ricavi, 86,5 milioni di perdite, 550 milioni di debiti. Personalmente ho investito 75 milioni”.
Dalla lettura dei bilanci mi risultano altre cifre, che portano il totale a 29.124.675 euro.
“Queste sono cifre di Stefano Greco [un giornalista che da anni fa le pulci agli affari del presidente Lotito, NdR], una persona che non sa neanche di che parla. Consideri che siamo entrati con 25 milioni solo per il 21% delle azioni”.
Siamo d’accordo di essere in disaccordo. Lei attacca sempre Cragnotti, il presidente più vincente di sempre, ma sorvola sugli anni di gestione guidata dalla Banca di Roma.
“Cragnotti ha portato la Lazio in Borsa e fatto due aumenti di capitale. Spariti. Poi altri 110 milioni sono arrivati dagli investitori-tifosi sotto la gestione di Luca Baraldi, durata circa un anno, e subito bruciati. Quando sono arrivato io, la Lazio era tecnicamente in stato di fallimento. Mi dovrebbero quindi [Cragnotti e Baraldi] spiegare tutti questi soldi che fine hanno fatto. Cragnotti ha lasciato 500 milioni di debiti. Il piano Baraldi invece, non era altro che il pagamento dilazionato dei debiti maturati da Cragnotti, una presa in giro. E Baraldi ha anche perso la causa intentata contro la Lazio. Inoltre, al mio arrivo la Lazio non aveva nulla. Oggi ha una catena di negozi, una tv, una radio e la sua rivista [in realtà le iniziative di comunicazione sono appaltate ad una società esterna, NdR], un palazzo al centro di Roma [già ipotecato dal Credito Sportivo, NdR], le quote della Bombril [società brasiliana nel settore dei casalinghi, in passato controllata da Cragnotti, NdR] che ho ricomprato io. Ma non voglio parlare delle gestioni precedenti, non mi interessa. [e meno male, NdR]”.
Uno snodo fondamentale della salvezza dal fallimento della SS Lazio è stato quello della transazione con l’Agenzia delle Entrate, che ha evitato il fallimento e la perdita dei crediti per lo Stato e i fornitori, come accaduto per Napoli, Torino e Fiorentina.
“Ottenemmo un pagamento in 23 anni, ma alla fine la Lazio avrà pagato tutto il debito, compresi gli interessi. Paghiamo ogni anno, e spesso in anticipo, una rata di 6 milioni, equivalente al bilancio di una squadra di Serie B”.
Deve riconoscere che la tifoseria ha avuto un ruolo importante in quel momento. Lo stesso Berlusconi dichiarò in TV da Bruno Vespa che la decisione era arrivata per motivi di ordine pubblico.
“Riconosco un sostegno da parte della tifoseria, passionale e autentico, visto ciò che il salvataggio significava. Il tifoso laziale si mobilita sempre quando c’è qualcosa di irreparabile. Quando accadono le cose positive sparisce. Le faccio l’esempio della vittoria in Coppa Italia contro la AS Roma che rimarrà nella storia, c’è stato il crollo degli abbonamenti e si è incassato meno di merchandising”.
In realtà è da anni che le cose vanno peggiorando. Come pensa di uscire da questa situazione di conflitto con la tifoseria?
“Io ho fatto un processo di risanamento, e adesso sto facendo un processo di rilancio. Io sono il proprietario della SS Lazio, ma sono anche il custode dei valori che rappresenta la Lazio, che devono essere salvaguardati, preservati e tramandati, e quindi ho il dovere e il piacere di rendere felice la gente. In questo momento ciò non accade, e me ne dolgo. Spero che con il lavoro alla fine si giunga ad avere riconoscenza”.
Lei parla di aumentare i ricavi delle società di calcio e fa riferimento agli stadi. Ma dimentica, ad esempio, che la Lazio da sei anni è senza sponsor sulla maglie.
“Non vogliamo svendere, e peraltro abbiamo occupato la maglia spesso con iniziative benefiche e campagne sociali. Lo sponsor manca perché non siamo riusciti a trovarne uno che coniugasse due elementi: quello economico, compatibile col valore effettivo del marchio, e quello di poter creare un partnership positiva in termini di messaggio”.
Sta dicendo che è disposto a rinunciare a dei soldi per la Lazio per obiettivi diversi dal profitto?
“Come il Barcellona che sino a poco tempo fa aveva la maglia libera e poi solo il marchio Unicef. Lo sponsor deve essere compatibile con le finalità che ci siamo dati. Ad esempio, non andremmo certo a pubblicizzare società di scommesse. I tifosi non hanno cognizione della gestione di una società sportiva, non si rendono conto di cosa significa, e quindi non sono in grado di capire la portata economica di una scelta. E comunque la Lazio quest’anno chiude con 10 milioni di utile, una delle sole 3 o 4 squadre di Serie A a chiudere in attivo”.
Anche L’Espresso, oltre ai tifosi, ha avanzato qualche perplessità sui rapporti con parti correlate, come ad esempio per quel milione e mezzo annuo destinato ogni anno alla Salernitana.
“Lei sta sbagliando. La sua è una filosofia completamente errata. In Lega stiamo cercando di creare le doppie squadre, anzi, le doppie società. Non c’è alcun finanziamento, ma è la cifra pagata dalla Lazio Marketing per la gestione della pubblicità e delle sponsorizzazioni della Salernitana. In pratica ha un incarico simile a quello di Infront per la Serie A. Di conseguenza, quando si parla degli esborsi, bisognerebbe poi parlare anche dei ricavi [su cui però non fornisce cifre, NdR]. E poi, ma che sono soldi loro [dei tifosi]? Che cavolo frega loro di tutta questa roba? Che titolo hanno per parlarne?”
Beh, se un tifoso si vede cedere Hernanes è normale che si preoccupi.
“Sono stupidaggini. Ha mai sentito nessuno questionare l’Inter o il Milan per cosa mettevano nei bilanci?”
No, anche perché Inter e Milan hanno vinto la Champions League.
“Glielo spiego io invece il perché. Qui non c’è mai stata la cultura della proprietà, perché i tifosi hanno sempre svolto un ruolo sussidiario, perché sono intervenuti più volte nel salvataggio della società. Non vi dimenticate che negli anni i tifosi facevano le collette per mandare la squadra a giocare in trasferta”.
No presidente, qui è Lei che sbaglia. La colletta la fecero i tifosi della AS Roma al teatro Sistina il 31 dicembre 1964, per consentire ai giallorossi di andare in trasferta a Vicenza
Alla Lazio ci sono stati comunque benefattori, come il Marchese Gerini [costruttore playboy in voga negli anni ’50 e ’60] o vari professionisti [come il nonno dello scrivente, NdR] che più volte sono intervenuti per salvare la situazione. Oggi invece c’è una cultura societaria, e la gestione, ricordo, è un problema che riguarda me, non deve riguardare i tifosi. I tifosi non sanno nemmeno di che cosa parlano, perché il 90% delle cose nel sistema del calcio le ho create io, inventate io.
Lei è quello dei 9 giocatori in un giorno, al suo arrivo nel 2004
Nessuno ci era mai riuscito. Ci sono riuscito io. Poi c’è chi ha detto ‘ha preso tutte pippe’, ma non si ricorda che tra quelli c’era gente come Tommaso Rocchi – che presi dall’Empoli e che poi ha segnato 100 gol -, Sebastiano Siviglia, e il nazionale croato Anthony Šeri? [convocato per tre Mondiali, NdR].
Miglior presidente d’Italia secondo la Gazzetta dello Sport. Per il presidente del Catania, Pulvirenti, “Lotito è il miglior dirigente del calcio italiano”. Per il parmigiano Ghirardi “sta facendo qualcosa di incredibile. Ma agli amici corrispondono altrettanti nemici.
Quando una persona entra in un sistema e crea una discontinuità col passato, puntando al rinnovamento, sicuramente spinge alla creazione di posizioni opposte, condite spesso da considerazioni negative sulla persona.
Lei parla di “tabula rasa” per il calcio italiano attraverso una serie di riforme.
“Nell’ambito del processo di cambiamento che perseguo, già al mio ingresso nel calcio ho lanciato delle idee. Già nel mio primo intervento in Lega parlai di riduzione dei costi attraverso salary cap e defiscalizzazione, necessità di incremento dei ricavi attraverso la realizzazione di stadi polifunzionali. Poco dopo lanciai la proposta di cambiamento del format dei campionati, essendo incompatibile un numero di squadre come quello attuale con le risorse disponibili per il sistema. Un numero eccessivo inoltre mina la competitività a livello internazionale, portando ad un livellamento verso il basso”.
Che ne pensa del Financial Fair Play voluto dall’UEFA?
“Il FFP è concettualmente giusto, ma deve essere applicato. Lei consideri che ho in testa uno sport che si ispira ad uno come Abebe Bikila, il maratoneta che vinse a piedi scalzi contro l’opulenza degli americani [alle Olimpiadi di Roma del 1960, NdR]. Che vuol dire? Che nello sport deve prevalere il merito, lo spirito di sacrificio. L’applicazione del Fair Play Finanziario mette nella condizione i bravi e quelli che hanno le possibilità di competere alla pari. Ma nel momento in cui si alterano questi equilibri, come accaduto con alcune squadre, la censura sarebbe dovuta intervenire con provvedimenti diversi. Ad esempio Juve, Inter e Roma stanno tutte fuori se facciamo i conti. Mi auguro che questo [il mancato intervento, NdR] sia soltanto un elemento transeunte legato ad un assestamento del sistema. C’è però da dire che la differenza di fatturato con squadre quali Barcellona e Real Madrid si è venuta a creare perché noi non siamo stati bravi ad adeguarci al cambiamento, a darci normative che consentissero una crescita dei club in termini di ricavi”.
Fa riferimento alla normativa sugli stadi?
“La legge per la quale ci siamo battuti non è quella attuale, che è per l’impiantistica di base, e che non ha l’elemento propulsore, cioè la perequazione urbanistica. Come è pensabile che un investimento di 100 milioni possa essere compatibile dal punto di vista finanziario se non ci vengono dati i mezzi? Si pensi che in altri paesi gli stadi sono stati finanziati. Qui non si chiedeva alcun finanziamento, ma di dare la possibilità al club – e non al suo proprietario – di poter portare avanti un processo di realizzazione di un impianto polifunzionale aperto h24, 365 giorni all’anno. I nostri governanti quindi si dovrebbero porre la domanda: perché impedire ad una società di calcio, che oltre alla finalità di profitto dovrebbe avere una finalità di promozione sociale e culturale.”
Secondo Lei la AS Roma riuscirà a fare lo stadio alle attuali condizioni normative?
“Non entro nel merito. Sto aspettando con molta attenzione gli accadimenti. Perché qualcuno in passato ha speculato dicendo che la Lazio voleva costruire lo stadio in una zona a vincolo idrogeologico. Nel caso della AS Roma mi pare che si vada a costruire a ridosso di una sponda del Tevere e a 50 metri dal depuratore di Roma Ovest. Inoltre c’è un problema di viabilità che è sotto gli occhi di tutti. Non entro nel merito, come detto. Aspetto fiducioso. Anche perché non si potranno usare due pesi e due misure”.
C’è una possibilità, anche remota, che la SS Lazio possa tornare “a casa”, allo stadio Flaminio?
“Non esiste. Le faccio io la domanda. Secondo Lei uno stadio, dove dovrebbe stare? Al centro o in periferia?”
Al centro della città. Persino gli americani si sono resi conti che il futuro degli stadi può essere solo downtown.
“Lei non ha cognizione di cosa significa uno stadio. I problemi di costruire in città sono tre: viabilità, parcheggi, sicurezza. La mia visione è quello di uno stadio modello Disneyland, solo che invece di trovare Topolino & co. quando gira, il tifoso trova i giocatori, l’allenatore. È la visione di un calcio romantico coniugato con l’aspetto dei ricavi”.
L’immagine della nostra Serie A e della sua guida non è affatto buona, e non si è percepita una crescita.
“Lei ha informazioni sbagliate. Beretta ha avviato un processo di crescita e cambiamento. Ma questo è un paese che è stato gestito da prenditori, e non da imprenditori, da magnager e non da manager. Di conseguenza certe valutazioni negative vengono fatte da persone che hanno una visione “consuetudinaria”,consuetudo magna vis est. Le faccio degli esempi di ciò che abbiamo fatto: la divisione delle leghe di A e di B; abbiamo applicato la legge Melandri aumentando le entrate derivanti dai diritti televisivi; abbiamo condotto un processo di ammodernamento normativo, basti pensare che oggi un calciatore può essere pagato in 5 anni , può essere preso in prestito per due anni, può essere prestato con riscatto obbligatorio. Tutte scelte ratificate dalla FIGC, ma arrivate tutte dalla Lega Serie A sotto la gestione di Maurizio Beretta, che poi si avvalso di tutta una serie di persone tra cui, immeritatamente, Claudio Lotito. Ricordo la gag della telefonata che faceva “Dimmi Claudio…”: era tutto strumentale perché il presidente Beretta non ha mai chinato la testa. Questo è il vero problema che porta lui ad essere considerato un corpo estraneo al sistema. È una persona di grande valore. E tante persone che passano come all’avanguardia, in realtà non hanno fatto nulla”.
Come sono i suoi rapporti con il presidente del CONI Giovanni Malagò, noto tifoso della AS Roma, che evitò addirittura di farsi le foto con la Lazio vincitrice della Coppa Italia 2013? Malagò era intervenuto su Abete in relazione alla Sua decadenza dal Consiglio Federale.
“Malagò ha solo chiesto chiarimenti, a seguito di una lettera di Federsupporter [associazione di tifosi/azionisti della SS Lazio SpA, NdR] che lamentava la mia mancata decadenza a fronte di un’inesistente condanna, non essedo stata comminata alcuna pena”.
In ogni caso, anche nell’ottica della “moralità” di cui parla, Lei pensa di dimettersi quando la condanna passerà in giudicato?
“No. Consideri che in relazione a quanto mi viene imputato la Consob mi aveva comminato una sanzione amministrativa, contro cui ho vinto ogni ricorso. E poi una recente sentenza di Strasburgo sul caso-Exor ha ribadito il principio del ne bis in idem…”
Presidente, consenta al Guerino di non entrare nel merito della sua vicenda giudiziaria… Da anni parla anche di riforma dei campionati.
“Dobbiamo chiederci se sia giusto mantenere in piedi un sistema che non ha l’autoconsistenza finanziaria e che in termini di qualità determina anche un vulnus sulla competitività internazionale. Sulla base di questo credo che il format migliore sarebbe: 18 squadre in Serie A; 18 squadre in Serie B, con una sola promozione diretta e un playoff con le squadre dalla seconda alla settima posizione insieme alla penultima di Serie A. La perdente della finale del playoff dovrebbe quindi ricevere un premio di €10 milioni, e si pensi che oggi i ricavi sono intorno ai €4,5 milioni. Questo sistema consentirebbe alla Serie B di avere circa 35 milioni in più, e molti di più andrebbero alla Serie A grazie alle risorse che si libererebbero dall’avere due squadre in meno. E Sky e Mediaset sarebbero contente, perché oggi sono costrette a fare la produzione televisiva di partite di alcune squadre che non hanno appeal. Senza togliere nulla ai colleghi presidenti, ma vendere i diritti televisivi con squadre che hanno 1.000 spettatori a partita è un problema serio”.
Ma non si rischia di creare un sistema troppo chiuso, alle soglie di una lega modello americano?
“Non è così. Credo che ciò che si debba garantire è l’accesso, ossia dare l’opportunità per meriti sportivi di poter arrivare in Serie A.”
In dieci anni ha avuto al suo servizio molti grandi calciatori: dai campioni del mondo Peruzzi e Oddo, fino a Hernanes, Klose e Candreva. Chi Le ha dato le maggiori soddisfazioni, e chi delusioni?
“Le maggiori soddisfazioni sono arrivate dai giovani. Ad esempio Kolarov, giocatore pagato 700mila euro e venduto a 21 milioni al Manchester City. La dimostrazione che forse qualche piccola capacità tecnica ce l’abbiamo. Per quanto riguarda le delusioni, del senno del poi sono piene le fosse. Certo, i comportamenti di alcuni sono stati sotto gli occhi di tutti.”
Ha voluto sulla panchina della Lazio allenatori molto diversi tra loro
“Ogni allenatore avuto in questi dieci anni è stato funzionale al momento. Il primo Mimmo Caso, fu ingaggiato in emergenza. La squadra era in difficoltà, e lui fu esonerato, anche perché in quel momento c’era una persona [Paolo Di Canio, NdR] che creava qualche problema nello spogliatoio. Delio Rossi ha vinto la Coppa Italia, ed è stato qui quattro anni, durante cui ci siamo anche qualificati per la Champions League. Ballardini ha vinto la Supercoppa, dopo però ci stava mandando in Serie B…”
Ma cosa le manca per fare una galoppata modello Atletico Madrid. Del resto i fatturati non sono così lontani.
“Questo dimostra che voi non conoscete i problemi. Innanzitutto l’Atletico Madrid ha 180 milioni di ricavi, ma 200 milioni di debiti. L’unico indebitamento della Lazio sono invece i 60 milioni circa rimanenti da pagare al fisco. Inoltre, i giocatori dell’Atletico sono di proprietà di fondi, mentre i giocatori della Lazio sono della Lazio, che non ha giocatori in prestito”.
Sua moglie Cristina ogni tanto Le dice: «Liberati di quella zavorra della Lazio». Dei tifosi non ne parliamo. Ha pensato di affidare un incarico ad una banca d’affari?
“No, non esiste. La situazione tra Lazio e Inter è diversa, in quanto la SS Lazio è una società che produce reddito, mentre l’Inter produce debiti. Si pensi solo che quest’anno chiuderà il bilancio a -84 milioni. Inoltre, la Lazio non ha bisogno di un socio. È una società quotata. E quindi se uno volesse potrebbe fare un aumento di capitale, per il quale però ci devono essere le necessità, che però non ci sono, dato che chiude in utile. E io un aumento di capitale non lo faccio per rispetto dei tifosi.”
Investire sulla crescita sulla base di un piano industriale non è una necessità?
“La AS Roma chiude quest’anno con 35 milioni di perdite, ed è il quarto anno consecutivo che chiude in rosso. Vanno avanti con aumenti di capitale, e non hanno coperto tutto. Nell’Inter invece, Thohir ha messo 75 milioni, più un finanziamento soci di 25 milioni. Questi sono i soldi che sono stati messi dall’imprenditore. Poi ha fatto un leverage sulla società, che è poi quello che ha fatto sempre la AS Roma in passato. Ma questo di cui si parla è un sistema ridicolo di gestione, perché oggi col fair Play Finanziario è tutto l’opposto, non ci deve essere apporto del capitale del socio. Lo scostamento non può superare i 15 milioni annui per tre anni. Vuole sapere invece i numeri di Inter, Juventus e AS Roma? E poi, ad esempio, il Napoli sta facendo bene, ma che cosa ha patrimonializzato? Non ha nemmeno il centro sportivo. Non mi faccia parlare di queste cose!”
Fonte: Guerin Sportivo