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Gabriele Paparelli: «Ho girato per anni con la vernice per nascondere le scritte su mio padre»
Gabriele Paparelli, figlio di Vincenzo, è tornato a parlare del tragico giorno in cui un razzo uccise il padre in un derby
Gabriele Paparelli ricorda il papà Vincenzo. Ospite durante la trasmissione Tagadà, su La7, è tornato a parlare del tragico episodio del 28 ottobre del 1979, quando un razzo durante un Roma-Lazio, uccise il padre. Queste le sue parole: «Perdere un papà è come perdere un punto di riferimento. Papà era una persona stupenda, era giovane, eravamo una famiglia tipica di quegli anni. Felice, allegra, genuina. Aveva tutte le sue attenzioni per noi e per il lavoro e con una forte passione che era il calcio, la Lazio. Io l’ho saputo la sera, hanno fatto di tutto per farmi svagare, poi l’ho visto al telegiornale, di sfuggita in un bar».
28 OTTOBRE 1979 – «Quella domenica non doveva andare allo stadio, pioveva, ma per uno scherzo del destino è uscito il sole e non ha saputo resistere. Era prassi che tutta la famiglia andasse allo stadio, dovevo andare con lui, ma mi disse che c’era qualche rischio. Mi promise che saremmo andati al successivo. Quel pomeriggio partirono tre razzi, il primo lo colpì, il secondo andò a finire fuori dallo stadio. Mia madre si girò e vide una scena tremenda, che nessuno dovrebbe vedere. D’istinto cercò di toglierlo, mentre lo faceva è rimasta ferita, ma quella ferita è solo esterna. Quella interna non si è mai cicatrizzata».
MORTE DELL’INNOCENZA – «Si è rotto un ingranaggio, quella sicurezza che i tifosi avevano. Nessuno si sarebbe aspettato di andare incontro alla morte. Non abbiamo mai vissuto la perdita serenamente. Negli anni siamo diventati bersaglio, per una vita ho sempre portato una bomboletta di vernice nella sella del motorino per nascondere le scritte a mia madre. Un altro trauma. In adolescenza avevo la rabbia, crescendo ho capito che tante persone cantavano i cori senza sapere chi fosse Paparelli. Senza capire che dietro c’era una famiglia che soffriva, ma per colpire la tifoseria».
TIFO – «Da parte della tifoseria laziale abbiamo ricevuto tanto affetto, siamo molto legati. Sono anche io tifoso, sfegatato, ma io vado poco allo stadio: ho una fobia. Mi espongo per far capire che quello che hanno cantato ha solo ferito la mia famiglia e il tifo laziale, che è sempre la mia famiglia. Vorrei che si vivesse il calcio con la semplicità e la purezza che vedo negli occhi di mia figlia quando la porto».