2015

Gregucci: “Non sono d’accordo col ritiro, anche se la Lazio deve ritrovarsi”

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Angelo Adamo Gregucci è intervenuto in diretta su Radio Incontro Olympia: “Il ritiro a oltranza è un insulto alla fiducia che si ripone nell’uomo prima che verso l’atleta. Non serve a nulla, però fa parte della cultura calcistica italiana, ne ho fatti tanti anche io. Il ritiro serve soltanto se fatto per ritrovarsi, per dialogare e confrontarsi anche duramente. Ma se la logica è punitiva è totalmente inutile. L’estate è stata terrificante per la Lazio. Avrei fatto qualche cessione per aprire le porte ad acquisti importanti che potevano portare la Lazio in Champions League, che è fondamentale visto che ti porta un introito triplo rispetto al campionato. Quando lavori con tanti giovani devi sapere che spesso a quell’età si fa un passo avanti e due indietro, è normale nel percorso di crescita. Andava fatto un mercato diverso. Anche perchè andava valutata diversamente anche la situazione De Vrij, che oggi possiamo dire che sia stato il calciatore più importante nella scorsa stagione. Un certo tipo di calcio bello e propositivo è stato possibile grazie a lui che consentiva alla squadra di tenere sempre la linea di difesa alta. Poi ci sono tante altre situazioni che da fuori è difficile commentare. Io ho vissuto il passaggio dalla Lazio di Calleri a quella stellare di Cragnotti. E sono ancora legato alla Lazio come tanti compagni, ho i brividi quando entro all’Olimpico. Rispetto ai miei tempi però è cambiato tutto. Non c’è più il senso di appartenenza verso la maglia, perchè è diverso il mondo, è diverso il modo anche di essere giovani. Adesso c’è la globalizzazione e comanda la logica del denaro, i campioni seguono questa logica quindi se arriva una buona offerta e il giocatore vuole andare via non ha senso trattenerlo va venduto. Se non si ha questa disponibilità economica c’è una sola alternativa, crescere i giovani in casa trasmettendo i valori del club ai ragazzi. Tutte le squadre legendarie del calcio, erano costruite su uno zoccolo duro composto da giocatori cresciuti nel club che sentivano forte il senso d’appartenenza. Pensate al Barcellona che ha fatto di questo una filosofia, anche il grande Milan degli olandesi si fondava su calciatori come Baresi, Maldini e altri cresciuti in casa”.

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