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Guerra in Ucraina, Fonseca: «Vi racconto la mia fuga, vorrei allenare ancora in Italia»

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L’ex allenatore della Roma Fonseca si è raccontato tra la fuga in Ucraina e il desiderio di tornare ad allenare in Italia

Paulo Fonseca, ex allenatore della Roma, in una intervista a La Gazzetta dello Sport ha raccontato la fuga dall’Ucraina dopo lo scoppio della guerra.

FERMARE IL MOSTRO – «Quello che si sta facendo è importante, ma non è sufficiente: l’Europa e gli Stati Uniti, militarmente, stanno lasciando sola l’Ucraina. Invece dobbiamo fermare il mostro». 

ARGINARE LA RUSSIA – «Non sono un politico, ma ad esempio sono favorevole alla “no fly zone”. È vero che hanno l’atomica, ma stiamo lasciando diventare Putin troppo forte, perché lui sente la paura della comunità internazionale. Eppure, se non si ferma adesso, sarà più difficile farlo dopo. Il peggio deve ancora arrivare. Anche le centrali nucleari sono un problema. Con questo uomo non sappiamo mai quello che può succedere. È lui il colpevole principale. Chi lo supporta avrebbe bisogno di un aiuto psicologico». 

RESA UCRAINA – «È facile dirlo da lontano. Se i russi invadessero l’Italia o il Portogallo, noi non combatteremmo? Non c’è niente di più prezioso della libertà. Tanti Paesi ora hanno paura. Georgia, Moldavia, i Baltici, la Polonia: se Putin vincerà questa guerra, sarà un guaio per tutto il mondo». 

ZELENSKY – «No, non l’ho conosciuto. Vedevo le sue gag da presidente senza capirle per via della lingua, ma non pensavo che lo sarebbe diventato davvero. Ora invece è un eroe, e capisco che i russi vogliano ucciderlo». 

FUGA DA KIEV – «Un incubo. Era il 24 febbraio e dovevo partire alle 10 per il Portogallo con la famiglia, quando alle 4.30 abbiamo sentito cadere le prime bombe. Ci siamo spaventati. Il mio amico Srna (dirigente dello Shakhtar) mi ha invitato ad andare all’hotel Opera, dove c’era la squadra. Ci siamo rifugiati in un bunker. C’era De Zerbi, c’erano i brasiliani con le famiglie. I bambini dormivano per terra nei sacchi a pelo. Avevamo paura. Poi la mia ambasciata ha organizzato un mini-van e in tre famiglie siamo partiti verso la Moldova. È stato un viaggio terribile. Trenta ore senza fermarsi mai, incolonnati a volte a 5 km/h, con gli aerei che ci passavano sulla testa, i posti di blocco, mentre la gente intorno non trovava né carburante né cibo. Solo quando sono arrivato al confine con la Romania ho cominciato a rilassarmi, ma si fa per dire. Mia moglie piange in continuazione, perché abbiamo amici e parenti in tutta l’Ucraina. Ora, tramite la mia federazione, sono diventato ambasciatore per la pace e ci adoperiamo per trovare alloggio, lavoro e scuola ai profughi. Una piccola parte, naturalmente, dei due milioni di quelli che stanno fuggendo». 

PARLARE DI CALCIO – «Certo. In questi giorni non ho visto nulla, ma spero di allenare ancora in uno dei 5 tornei top. Sono stato vicino alla Fiorentina, ma poi non si è fatto nulla. Ammetto che l’Italia mi piace». 

CONFRONTO CON ROMA DI MOURINHO – «Non voglio fare paragoni. Situazioni diverse, investimenti diversi. Abraham, ad esempio, è fortissimo, e può diventare ancora più forte. Dico solo che, nonostante la pandemia e il cambio di proprietà, avevamo una nostra identità ed eravamo una delle squadre che giocavano meglio. Ma consentitemi di ringraziare i tantissimi tifosi della Roma che mi hanno scritto in quei giorni drammatici, così come lo hanno fatto tanti calciatori, i dirigenti e gli stessi Friedkin». 

PORTOGALLOITALIACHI VA AL MONDIALE – «Difficile dirlo. L’Italia e la Spagna per me sono le più forti. Gli azzurri sono più squadra e lo hanno dimostrato facendo un Europeo bellissimo, ma il Portogallo ha tante individualità». 

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