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Immobile: «Corro sempre grazie a mia madre. Klopp mi ha insegnato a non mollare mai»
Cirro Immobile si racconta in una lunga intervista a Rivistaundici. Dagli inizi a Torre Annunziata, fino alla rinascita nella Lazio
Anno zero per Ciro Immobile, rivitalizzato sotto il Colosseo e dalla cura Inzaghi. L’ex Siviglia, si racconta in un’intervista a RivistaUndici. Si parte parlando dei primi calci al pallone: «Non era il periodo di internet, dei social network. Giocavamo dappertutto, anche dove passavamo le macchine. Zona sud di Torre Annunziata? È bellissimo perché quando cammino per Torre c’è chi si stupisce. Mi dicono: allora è vero, non ti si dimenticato. Avevo quattro anni quando mi iscrissi a scuola calcio, non avrei potuto, ma mi hanno preso lo stesso. Non volevo mai saltare un allenamento, neanche con la febbre. Una volta mi smarcai da un avversario passandogli sotto le gambe. Ho buttato la palla di lato e siccome stavo cadendo gli sono passato sotto le gambe continuando a correre. Il fatto che non mi fermo mai è merito di mia mamma, l’equilibrio in velocità invece è frutto dell’allenamento. Perché in campo sei sempre in contatto con qualcuno, una spalla, o una mano sulla schiena, se perdi facilmente la forza nelle gambe non è semplice giocare». Zeman, figura importante nella sua carriera: «Sì, mi ha insegnato i movimenti giusti. Quando il centrocampista ha la palla orientativamente puoi farti un’idea di dove potresti correre. Un fattore importante è la coordinazione: devi capire dove correre e come concludere e poi farlo il più velocemente possibile, con i ritmi di oggi è impensabile che tu riesca a stoppare la palla dentro l’area, a guardarti intorno e a calciare. Devi pensare prima che ti arriva, Altrimenti non è possibile. È soprattutto velocità di pensiero: gli attaccanti più forti lo sono per questo, al di là del talento».
ALTI E BASSI – Immobile continua: «Nel calcio come nella vita ci sta un momento in cui tutto ti va male. Alla fine tutto gira, tutto cambia. Quando non giochi è difficile, ti abbatti. Anche se io non sono uno che si butta giù facilmente. Prestiti? Non è una cosa negativa perché ti dà l’opportunità di metterti in mostra. Magari se fossi rimasto alla Juventus non sarebbe andata così perché avrei avuto meno opportunità. L’unica scelta che non ho capito è perché dopo quella stagione Verratti va al Paris Saint-Germain, Insigne lo riprende il Napoli, e io sono andato a Genova. Nonostante tutte, quell’esperienza che mi è servita, a Torino l’anno dopo sono riuscito a fare bene ripensando ai momenti negativi che ho passato. Anche lì ho vissuto un momento difficile, nelle sette partite all’inizio in cui non facevo gol e dicevano che non ero pronto per la Serie A, che andavo bene per la B, che ero diventato capocannoniere perché c’era Zeman. Tutte queste cose non mi hanno buttato giù, anzi». Sull’anno al Dortmund: «Klopp mi ha insegnato che non si molla mai. Non è mai cambiato nei nostri confronti, quando abbiamo vinto la Supercoppa come quando eravamo ultimi in classifica a dicembre. Non sapevo il tedesco? È una cattiveria perché anche Ribery dopo anni ancora non lo parla. Anche Aubameyang e Kagawa non lo sapevano. Tuchel? Mi parlava in tedesco, e io gli dissi: guarda che non capisco. Lì si rese conto che ero in difficoltà. Cosa ha fatto la differenza? Il gol… Verratti fa la differenza saltando l’uomo, mettendo palloni in profondità. L’attaccante fa il salto di qualità se segna tanti gol. Certo, interviene anche la passione, la voglia di giocare. Non hai molto tempo per farti vedere, la nostra è una carriera breve. Pensi: tra dieci anni smetto, quindi cerco di dare tutto adesso. Tutto quello che ho, io lo do in campo».