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L’ANALISI DEL GIORNO DOPO – Spietata, affamata e cinica: la Lazio è sempre più immagine e somiglianza di Inzaghi
La domenica perfetta, la Lazio vince 3-1 con il Genoa, la Roma perde 2-1 a Bergamo nel finale, con conseguente riduzione della distanza da quattro punti a uno.
Prima vittoria dopo la sosta e ottavo risultato utile consecutivo. Questa Lazio non vuole più fermarsi, anzi sembra non soffrire di vertigini. La sfida con il Genoa nascondeva tante insidie, prontamente superate dalla squadra di Inzaghi, sempre più unita e solida, più vicina all’essere un top club che una provinciale. Atteggiamento giusto, intensità perfetta, spirito di sacrificio infinito. Il copione è sempre lo stesso, il risultato anche. Oramai una vittoria biancoceleste passa quasi inosservata come non fosse una notizia rilevante: due sole sconfitte contro Milan e Juventus dopo tredici giornate. Tante, ma forse poche perché il meglio deve ancora venire…
SICUREZZA – Cambia il modulo, non l’interpretazione alla gara. Inzaghi ha individuato nella sua rosa degli elementi chiave e la partita di ieri ne è l’esempio lampante: Lulic e Radu permettono il cambio di modulo in corsa e rappresentano l’ “usato sicuro”, quindi, quando sono a disposizione andranno sempre in campo.
Gli undici titolari nella testa del mister sono quelli schierati ieri e a Napoli, ad eccezione di de Vrij che a seconda del modulo potrebbe rilevare Wallace o Basta.
Considerando Lulic un “titolarissimo”, il passaggio al 3-5-2 viene effettuato principalmente per favorire Milinkovic, altro insostituibile dello scacchiere biancoceleste; di contro, qualora uno tra il bosniaco e il serbo dovesse mancare sembra quasi scontato il 4-3-3.
La disposizione di ieri poteva destare qualche perplessità, ma Inzaghi ha spiegato di aver schierato Senad terzino per contrastare la velocità genoana sugli esterni, mossa rivelatasi ancora una volta azzeccata. Altra scelta giusta, altra vittoria, per un Inzaghi che si conferma vero top player della squadra.
FELIPE DI GIOIA – Torna il sorriso sul viso di Anderson. Torna quel sorriso da brasiliano vero, scomparso nella passata stagione e mostrato a intermittenza negli anni precedenti. Felipe e Wallace, sono loro la massima espressione di una Lazio sempre allegra e piena di gioia, pronta a buttarsi nelle fiamme per il proprio allenatore.
Il primo gol è una prodezza riservata ai palati più fini: un mix di tecnica e coordinazione che possono vantare solo i grandi campioni.
Il limite più grande di Felipe sta sicuramente nel carattere e non nei piedi. Carattere che non potrà mai cambiare, ma grazie a Inzaghi è migliorato e non di poco: “Pipe” adesso è diventato uno dei trascinatori di questa squadra, inizia a prendersi delle responsabilità che gli competono e l’azione del rigore lo dimostra. Non ha paura di puntare l’uomo, sa di essere devastante nell’ uno contro uno e prova sempre a superare il diretto avversario. Orban non riusciva a tenerlo ed è stato costretto a stenderlo per evitargli di presentarsi a tu per tu con Perin. In questa Lazio lui e Keita sono i valori aggiunti, quelli da cui nella maggior parte dei casi dipende un risultato: se girano loro si possono fare grandi imprese, ma se il loro rendimento non è sufficiente diventa difficile portare a casa vittorie come quelle di ieri.
Ora sarà fondamentale non prendere un ammonizione a Palermo, perché questa Lazio non può fare a meno del suo diamante più brillante nella partita più importante.
BIELSA CHI? – Sampaoli, Prandelli, Bielsa e poi? E poi arrivò lui. Era già sull’autostrada direzione Salerno, ma il destino ha voluto riservargli l’ennesima sorpresa, la panchina della Lazio. La sua Lazio, ereditata da Pioli in un momento pessimo e portata in Paradiso dopo 13 giornate.
Vedere Strakosha, Cataldi e Murgia nella formazione di una squadra terza in classifica è quanto di più bello potesse chiedere il tifoso laziale, da sempre affezionato ai prodotti di casa propria, vedi Chinaglia, Giordano, D’Amico, Nesta ecc. Questa è solo una delle tante prodezze riuscite a Inzaghi, un allenatore che prima di conquistare i 25 punti in classifica, ha conquistato la fiducia dei suoi ragazzi, pronti a dare tutto per il loro mentore.
«Io per Inzaghi giocherei anche in porta» – queste parole spese da Marco Parolo per il mister, sono la dimostrazione dell’ottimo lavoro fatto nella testa dei giocatori prima che sul campo. La squadra ha un’armonia tale da non precludersi nessun obiettivo: Keita si è messo a lavorare con la testa giusta, Immobile non smette un secondo di correre, Anderson è un soldatino, Milinkovic e Parolo sono ovunque.
La bellezza della Lazio sta nel vedere tutto questo: dei ragazzi che ammirano il loro condottiero come un bambino guarda con orgoglio il padre. Si, perché Simone Inzaghi è il padre di questo successo, figlio della fame e della rabbia di chi da una vita è stato sempre e solo considerato come il fratello minore di Pippo.
Ora l’ultimo obiettivo: mettere attorno alla sua squadra un Olimpico ribollente e all’altezza degli 11 biancocelesti in campo, proprio come fece Pioli due anni fa. Anche perché il prossimo appuntamento casalingo è il derby e in quella partita giocare in 12 non deve essere una speranza, ma una certezza.