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Lazio Atalanta, Rambaudi: «Le due squadre che mi sono rimaste di più nel cuore e che guardo più volentieri; quanti gol ho fatto fare a Signori…»

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Lazio Atalanta, le parole del doppio ex Rambaudi, due anni a Bergamo e quattro nella Capitale, sulla partita di stasera e i suoi ricordi biancocelesti

Roberto Rambaudi ha parlato al Guerin Sportivo della partita di questa sera Lazio Atalanta in veste di doppio ex, avendo giocato due anni a Bergamo e quattro e mezzo nella Capitale. Di seguito le sue parole.

DOPPIO EX – «La Lazio e l’Atalanta sono due delle squadre alle quali sono più legato e quelle che oggi mi diverto a guardare in tv. A Bergamo sono cresciuto tanto. Due anni importanti in un ambiente caldo ma che ti permette di lavorare alla grande. Ripensando a quelle due stagioni faccio fatica a pensare che il secondo anno siamo retrocessi. Per il valore della squadra e per il calcio che riuscivamo ad esprimere. Considera che qualche giorno fa sono andato a ricontrollare l’almanacco, perché mentalmente è come se avessi cancellato quel risultato».

ARRIVO ALLA DEA – «Erano appena arrivati i Percassi e il club si stava ristrutturando. Ho avuto la fortuna di giocare insieme a gente come Alemao, Souzée, in uno stadio molto caldo. E di essere allenato da tecnici preparati come Marcello Lippi e Guidolin. Il primo anno a Bergamo feci 6 gol».

PASSAGGIO ALLA LAZIO – «Io in realtà dovevo andare alla Roma. Trapattoni aveva firmato con i giallorossi e mi chiese di seguirlo. Poi, quando tutto sembrava fatto, i dirigenti della Roma cambiarono idea e virarono su Mazzone. Alla Lazio poi andò Zeman, e tutto cambiò».

RITROVARE ZEMAN IN BIANCOCELESTE – «All’inizio sono stato favorito dalla conoscenza dei suoi schemi, ma Zeman era molto più severo ed esigente con quelli che considerava i suoi uomini di fiducia. A me non ha mai regalato niente. Anzi, una volta, durante un Lazio-Vicenza mi chiese di giocare perché era rimasto senza attaccanti, nonostante avessi 39 di febbre. Io mi sacrificai, ma in campo non toccai palla. E lui mi sostituì a quattro minuti dall’intervallo, facendomi fischiare da tutto l’Olimpico. Gliel’ho rinfacciata tante volte».

SECONDI E QUARTI: COSA POTEVANO FARE DI PIU’ – «C’erano nomi importanti: Marchegiani, Favalli, Negro, Signori, Fuser, Winter, Casiraghi, Boksic, ma la rosa era cortissima. Tolti i titolari c’erano poche alternative. Giocavamo sempre con gli stessi interpreti e quando avevi un calo, lo pagavi. Ricordo una trasferta a Napoli, di domenica sera e poi la gara di Dortmund il martedì successivo: a sole 48 ore di distanza. E giocammo praticamente con gli stessi calciatori. Una roba impensabile oggi».

ASSISTMAN – «Ho sempre pensato che un assist equivalesse ad un gol. E da tecnico ne sono sempre più convinto: segnare è bello e gratificante, ma mettere un compagno nelle condizioni di fare gol lo è allo stesso modo».

QUANTI GOL HA FATTO SEGNARE A BEPPE SIGNORI – «Una marea, e lui lo sa (ride, ndr.). Abbiamo giocato sei anni insieme tra Lazio e Foggia e ci conoscevamo benissimo. Lui sapeva che quando io rientravo verso il centro del campo, doveva fare un determinato movimento: poi diciamo anche che a lui bastava calciare con gli occhi chiusi per andare in gol».

LA LAZIO CREBBE DOPO L’ADDIO DI SIGNORI – «Noi abbiamo partecipato alla costruzione della Lazio che nel giro degli anni successivi è diventata grande. La nostra squadra è cresciuta tanto, anno dopo anno, ma non era competitiva per vincere. Grazie ai campioni che Cragnotti portò nella Capitale, la squadra ha fatto quel passo in avanti decisivo».

VITTORIA DI UNA COPPA ITALIA E SUPERCOPPA – «Una grandissima emozione, al pari della convocazione in Nazionale. Ci fu un momento che l’Italia venne definita la Lazionale visti i tanti calciatori biancocelesti che ne facevano parte».

PARTITA PIU’ BELLA IN BIANCOCELSTE – «Ce ne sono tante che ricordo con affetto: forse, su tutte, quella con la Juventus che finì 4-0 e nella quale feci un gol e due assist. Ma ricordo anche i derby, un Lazio-Inter che vincemmo 4-1. Ce ne sono tante».

QUALE PARTITA VORREBBE RIGIOCARE – «Non ho dubbi: Tenerife-Lazio. Vincemmo 1-0 all’andata e poi al ritorno eravamo avanti 1-0 con un gran gol di Nedved. Poi segnarono anche Fuser e Casiraghi: il capitano loro si avvicinò a me e mi disse: “siamo muerti”. Ma non era vero: li abbiamo fatti rinascere noi, con una serie incredibili di errori».

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