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Vale di più una fascia al braccio o l’amore di un popolo?

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Domenica sera Antonio Candreva farà il suo ritorno allo stadio Olimpico e vorrebbe andare sotto la Curva Nord, ma come verrà accolto dai suoi vecchi tifosi?

«Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel lascia non sa quel che trova». Vecchio proverbio si, ma sempre attuale.  Nel calcio soprattutto, dove tra poco più di 24 ore ci sarà un faccia a faccia dopo mesi di silenzio. Un eroe portato in trionfo per 4 anni, farà il suo ritorno in quello che stato il suo stadio. Il giorno tanto atteso dal 3 agosto e finalmente arrivato. Ma atteso da chi? Da lui ovviamente, Antonio Candreva, che sognava in questo giorno, di mostrare a tutti i suoi ex tifosi, il motivo che lo aveva spinto a fare questa scelta “professionale”. Ovvero? «Vado all’Inter per vincere». Peccato! I trofei non ci sono e non potrà mostrarli ai suoi vecchi e cari tifosi, che non più tardi di 3 giorni fa, lo hanno visto da uno di quei trofei lo hanno ammirato da vicino, poi svanito certo, ma lottare per vincere è sempre meglio di essere da marzo senza obiettivi. Vero Antonio? Ah certo, meglio non ricordare chi ha dovuto sconfiggere la Lazio per arrivare a giocarla quella finale. Ora tutti penseranno alla Roma, è inevitabile, ma prima? Eliminata la magnifica Inter che puntava a vincere tutto, uscita ai gironi di Europa League e oggi all’ottavo posto in classifica. Ci mancherebbe che un calciatore non coltivi l’ambizione del successo, ma farlo a Milano era così diverso dal farlo a Roma? Domanda che i tifosi della Lazio tante volte si sono posti e più di qualche risposta se la sono data. Ma adesso ce n’è un altro di quesito, a cui è molto difficile rispondere: «Cosa succederà domenica? Dopo aver detto addio e non aver voluto sentir alcuna ragione per restare, ci sarà il suo ritorno. Saluti, abbracci, baci e carezze, come se niente fosse successo. Come se non si fosse rovinato un amore per un insignificante pezzo di stoffa. Capite sì? Un pezzo di stoffa messo su un braccio. L’esatto opposto di quello che ha sempre chiesto il tifoso laziale, ovvero pensare prima alla maglia e poi a tutto il resto. C’è prima il ‘noi’, poi l’ ‘io’.

Prima univi tutti, adesso dividi. E qui qualche domanda bisognerà farsela caro Antonio… Domande e ancora domande aleggiano nella testa di tutti. Ora però arriva quella più importante, fondamentale:  «Vale di più una fascia al braccio o l’amore di un popolo?». Ponetevi questo quesito quando una maglia numero 87, non più celeste, ma neroazzurra, scavalcherà i cartelloni pubblicitari per andare sotto quella curva che lo ha amato dopo averlo odiato. Difeso dopo averlo attaccato. Professarsi bandiera, per poi abbandonare alla prima difficoltà è poco signorile. Perché cambiare idea è più che lecito, fare promesse e non mantenerle lo è un po’ meno. Questa storia ricorda molto quella dell’ex compagno Hernanes, anche lui alla ricerca di titoli lontano da Roma. Lui però ci è riuscito eh, anche se per farlo ha dovuto arrossire la panchina dello Juventus Stadium, ma come si dice: «Il fine non giustifica i mezzi». Questioni di bandiere mai state tali, riavvolte e tornate nell’armadio. Di idoli momentanei e svaniti dopo pochi anni. Ma quali sono veramente le leggende degne di meritare una passerella sotto la curva che mercoledì ha fatto rabbrividire il mondo intero? Non certo queste. Non certo chi tra un trofeo possibile e un amore sicuro non ha avuto dubbi. Dopo aver sopportato capricci da ragazzino per una fascia di capitano, tiri in porta da 40 metri, punizione calciate da ogni zona del campo e aver visto andare via, chi due anni prima dichiarava di voler diventare una bandiera, il tifoso laziale chiede soltanto una cosa: RISPETTO!

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