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Lazio, parla la figlia di Diabolik: «Era una persona che amava la vita»

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Ginevra Piscitelli ha parlato di suo padre e del suo rapporto con la Lazio

Durante la trasmissione Non è L’Arena condotta da Massimo Giletti è stata mandata in onda un’intervista fatta a Ginevra Piscitelli, figlia dell’ultras della Lazio meglio conosciuto come Diabolik, ucciso con un colpo di pistola il 7 agosto, nel parco degli Acquedotti. Ecco di seguito le parole della ragazza.

«Ci eravamo scambiati dei messaggi poco prima che lo uccidessero, nessuno di noi pensava a qualcosa del genere. Ma nei giorni dopo la sua morte ho avuto paura. La cosa che mi ha pesato più di tutto è che quasi il mio dolore non fosse legittimo perché le notizie che sono uscite lo descrivono come un boss e quindi è come se io e la mia famiglia dovessimo aspettarci una cosa del genere. Mio padre fu condannato a quattro anni di carcere ma oggi era libero: non era un boss mafioso, non ci vuole molto a capire che con quattro anni non puoi essere associato a niente. Dopo due mesi non c’è ancora il nome dell’assassino. Mio padre padre era molto amato. Ci ripeteva che avrebbe voluto fare di più per noi». 


«È talmente assurda la situazione per come era mio padre, era molto amato. Ci siamo trovati a fronteggiare una situazione abbiamo dovuto lottare per un diritto che avevamo, mio padre è morto da uomo libero. C’era una tensione non creata da noi, tutti al posto mio avrebbero reagito così. Ci siamo imposti per vedere il corpo di mio padre, mia madre è andata alle tre e mezza di mattina a Tor Vergata ad accoglierci c’era una quantità di poliziotti incredibile e li ho visto mio padre su un lettino con un telo sopra. Mi ha fatto molto male. Mi è sembrato assurdo ciò che stavo vivendo».

«Conducevo una vita normale, uscivamo come tutti, non aveva un guardaspalle non dava l’impressione che potesse accadergli una cosa del genere. Quando mio padre fu arrestato c’era un pregiudizio verso di me. Quando è morto quasi il mio dolore non era legittimo come se io e la mia famiglia dovessimo aspettarci una cosa del genere. Sapevo che mio padre non se ne sarebbe mai andato (riferito al mese di latitanza di Diabolik, ndr)».

«Il ricordo più bello che ho è al matrimonio di mia sorella era felicissimo, il più brutto quando l’hanno arrestato. Il periodo del carcere fu bruttissimo, avevo 16 anni. Il carcere è un posto brutto, a volte sembra che ci siano dentro pacchi postali. Era una persona che amava la vita». 

 

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