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Lombardo: «Ecco cosa penso di Inzaghi. Sullo scudetto del 2000…»

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Attilio Lombardo ha parlato a La Gazzetta dello Sport di Simone Inzaghi e Sinisa Mihajlovic passando per lo scudetto del 2000

Attilio Lombardo ha parlato a La Gazzetta dello Sport di Simone Inzaghi e Sinisa Mihajlovic, che si sfideranno oggi a San Siro.

GIOCARE CON MIHAJLOVIC E INZAGHI – «Com’era? Io giocavo pochino…».

SCUDETTO LAZIO – «Mancini era sulle mie spalle? Come io ero sulle sue dopo aver vinto la Coppa Italia in finale contro l’Inter. In quella squadra avevamo tutti un ruolo importante, anche chi giocava poco: prendete Gottardi, era un simbolo di quella Lazio. A me volevano bene tutti: non stavo mai zitto, avevo sempre la battuta pronta, davo qualcosa anche fuori dal campo».

LAZIO DI ALLENATORI – «E oggi sarebbe facile dire: ce l’avevamo dentro già allora. Smentisco: io l’avrei detto solo del Mancio, che giocava ma era allenatore da anni, aveva già un progetto chiaro anche per il fine carriera. Gli altri no, neanche il Cholo, Almeyda, Conceiçao, non solo Simone e Sinisa. A quei tempi pensavamo solo a fare i giocatori. Ma avevamo già un patrimonio inconscio. Tutti. Quale? Facile: l’impronta di Eriksson ».

INZAGHI ALLENATORE – «Io l’ho capito quando l’ho incrociato in panchina, lui con gli Allievi nazionali della Lazio e io della Samp. Se inizi a crescere da allenatore in un settore giovanile, ti stai già dando degli obiettivi, cerchi di capire se è quello il tuo ruolo. È stata la sua forza, accompagnata da un pizzico di fortuna: quella di poter fare il salto al momento giusto». 

MIHAJLOVIC – «L’ho ritrovato già allenatore di prima squadra: anche lui ha avuto una fortuna, poter “rubare” qualcosa a Roberto stando al suo fianco. Lavorando al Toro con lui, ho scoperto un allenatore sanguigno, che sta sempre sul pezzo e quando si crea un obiettivo lo raggiunge a tutti i costi. Un tecnico capace di entrare nel cuore della gente portando le sue idee, anche nuove: subentrava a Ventura, che aveva fatto un pezzo della storia del Toro».

PRESSIONE PER INZAGHI – «Come vedete Simone adesso, era allora. Aveva 23 anni, un “mangia Pavesini”, ma non lasciava trasparire nessuna soggezione, in una partita di biliardo come in una situazione difficile. Non sprecava energie mentali, solo fisiche, e gli scivolava tutto addosso. Così trovava il suo spazio anche se aveva davanti Mancini, Salas e Boksic. Così segnava 9 gol in Champions compreso un poker al Marsiglia e ce lo faceva pure pesare: con la mano faceva sempre il segno del 4…».

IMPRONTA DI ERIKSSON – «Di Eriksson rivedo in Simone e Sinisa, come ovviamente nel Mancio, la capacità di dialogare con i giocatori e di trasmettere loro un forte senso di appartenenza a un gruppo. Era un grande gestore, furbissimo: un maestro nel governare tutte le situazioni. Non so quanti sarebbero riusciti a far convivere tanti campioni, e tanti sudamericani».

SINISA E SIMONE – «Impossibile prendere anche il carattere, di Sven. Ma quando a quei due si gonfia la vena è un segno di incoraggiamento alla squadra: non li ho mai sentiti dare la colpa a uno dei loro giocatori. Nel loro vocabolario c’è solo il “noi”, non l’”io” ».

 

 

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