Le due rogne più recenti che ha dovuto affrontare Carlo Tavecchio, presidente della Federcalcio da sette lunghissimi e orribili mesi, stanno finendo così: all’italiana. La prima non riguarda direttamente lui, Tavecchio, ma il suo grande elettore Claudio Lotito. Ricapitoliamo brevemente: un dirigente di una società di LegaPro, Pino Iodice, decide di rendere pubblica una telefonata privata con Lotito, nella quale il presidente della Lazio e della Salernitana, nonché consigliere della Figc con delega per le riforme, si lascia andare a parole grosse. Lotito insulta un po’ tutti, dà della nullità al presidente della Lega di A Beretta (che peraltro accetta di buon grado la definizione, essendola sua nullità strapagata), definisce una testa di c. il capo degli arbitri Nicchi, esprime la sua visione riformista del calcio che vede come una sciagura la promozione di squadre piccole (Carpi e Frosinone), infine ipotizza spericolate manovre per sostenere i club in difficoltà. Repubblica diffonde la telefonata e sembra venir giù il mondo. Sembra, appunto. Dal presidente del Coni Malagò al capo della Lega di serie B Abodi, dai tuoni della Gazzetta dello sport ai fulmini di Sky, è tutto un coro di indignazione. Cosa produce dunque tanta sollevazione morale? Lotito viene privato formalmente della delega alle rifome, avocata da Tavecchio, minacciato di rimozione dal governo in caso di mancato intervento. Il quale Tavecchio, però, la rimette poi nelle mani di una commissione i cui membri saranno designati dalle Leghe. Se quella di A decidesse, e non si fa per dire, di scegliere quale suo membro Lotito, del caso Iodice resterebbe solo il grottesco applauso di Malagò all’intervento fasullo di Tavecchio, che peraltro con Lotito trascorre parecchio tempo in amabili chiacchierate, in federcalcio o nei bar di Via Veneto.
Seconda grana, che invece riguarda proprio il nostro caro Tav, che nel frattempo ha pure dribblato in silenzio la questione, evidentemente considerata folcloristica, dei circa 60 mila libri da lui scritti e dalla sua Figc comprati, senza guadagno economico diretto ma con polverizzazione della residua credibilità personale. Dunque, la grana è quella del Parma, che è enorme. Tavecchio la affronta con piglio. Distribuisce frasi a effetto: mai più qualcuno potrà comprare una società a un euro, come ha fatto Manenti, promette. Poi aggiunge fiero: faremo di tutto per far finire il campionato di serie A regolarmente, abbiamo convinto la Lega a fornire i mezzi e i giocatori del Parma a giocare. Bravo, lo applaudono dal Coni, così si fa, anche i commentatori di Sky si placano, a posto così, l’importante è finire come cantava Mina.
Nessuno, però, né Sky né altri censori della prima ora, mettono in evidenza abbastanza un dettaglio che nella questione Parma è invece fondamentale. Riguarda il lavoro oscuro – e oscurato – della Covisoc, l’organismo di controllo sui bilanci delle società di calcio, una volta severissimo e poi annacquato ad arte e a morte dalla Federcalcio di Abete, di cui comunque Tavecchio era il vicepresidente. Dunque, la Covisoc, come rivelato sempre da
Repubblica, aveva inoltrato alla Federcalcio ben tre relazioni sullo stato del Parma. Tre relazioni nelle quali il livello di allarme era stato crescente, fino a diventare assordante nell’ultima, quella successiva all’ispezione del 18 dicembre, quando i funzionari Covisoc scoprono che il Parma in quanto società è tecnicamente dissolto: niente cda, niente pagamenti ai giocatori e ai creditori, condizione debitoria fuori controllo, opacità ovunque, amministratori in fuga. Gli ispettori scrivono agghiacciati la loro relazione e la mandano alla Federcalcio, presieduta dallo stesso Tavecchio che adesso dice mai più. Solo che Tavecchio, si suppone, legge la relazione e se ne frega per almeno due mesi, fino a febbraio inoltrato, quando lo scandalo Parma esplode sui giornali. Non solo, dunque, non vigila, come gli imporrebbe il ruolo. Ma soprattutto, non interviene. Lascia che i fatti seguano il loro corso, fino al default, agli spogliatoi venduti all’asta, alle partite rinviate, ai Taci e ai Manenti, al desolante e sconfinato casino di oggi.
Eppure anche la rogna Parma sta finendo all’italiana. Con qualcuno che piange – i tifosi, ma soprattutto gli impiegati e perfino i giocatori – e qualcuno che proclama mai più, dopo aver sostenuto di non aver alcuna responsabilità per quanto accaduto. Ma davvero Tavecchio pensa di potersela cavare così? E davvero non c’è nessuno – Malagò, dai, se ci sei batti un colpo, ma un colpo vero – che dica: signori, qui c’è chi ha fatto un disastro, e i disastri si pagano? Forse no, forse non c’è proprio nessuno. Paga il Parma, i tifosi, i dipendenti, i creditori, il campionato. Tavecchio invece andrà avanti. Fino alla prossima rogna. Che magari è pure vicina.
Repubblica.it