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Martini ricorda Chinaglia: «Icona della Lazio, amici solo a fine carriera»

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Luigi Martini, terzino sinistro della Lazio scudettata del 1974, ricorda il compagno a dieci anni dalla scomparsa: il suo ricordo

Intervistato da Il Messaggero, Luigi Martini, terzino sinistro della Lazio scudettata del 1974, ha ricordato Giorgio Chinaglia a dieci anni dalla sua scomparsa:

«Un trascinatore, il simbolo, l’anima, lo spirito guida dello scudetto. Un guascone. A volte arrogante, prepotente. Un cuore grande così. E pure un uomo fragile. In campo, reagiva alla fragilità caricandosi. Ma quando sei da solo, e non hai 70mila persone intorno, puoi essere sopraffatto. In quei casi, Maestrelli se lo portava a casa, lo coccolava, Giorgio rimaneva da lui anche due giorni senza uscire. Aveva avuto un vissuto pesante, l’infanzia in Galles col padre minatore, gli dicevano “italiani mafia e spaghetti”. Aveva una grande rabbia dentro, era la sua forza. L’immagine del dito puntato contro i romanisti dopo un gol in realtà è simbolica di chi fosse Giorgio: uno che sfidava tutti, anche il potere, anche la morte. Fino all’ultimo: si sentì male, in ospedale i medici gli dissero che dovevano trattenerlo: “Attaccatevi al c…o, io firmo ed esco”. Morì poco dopo. Carissimo Giorgio. Lo ammettemmo anni dopo che ci volevamo un sacco bene».

AMICI A FINE CARRIERA – «Mi manca tanto il mio nemico amatissimo. E quella squadra del 1974. Non ci piacevamo, ma in campo guai a chi lo toccava. Cominciai davvero ad apprezzarlo quando avevamo smesso. Ci incontrammo un giorno al fleming e diventammo amici. Era un trascinatore, a volte prepotente, in campo reagiva alle sue fragilità caricandosi, era la sua grande forza».

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