2014

Manfredini senza freni: “Radu mangiava troppo aglio! Luciano? Se lo chiamavi Eriberto si girava…”

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Non le manda certo a dire Manfredini; ne ha per tutti, da Delio Rossi a Radu, da Luciano (o Eriberto, che dir si voglia “tanto lui si gira sempre”) fino a Djordjevic e Keita. Un fiume in piena a RadioIES, che racconta la sua esperienza e mille aneddoti, a cominiciare dal suo rapporto quasi indifferente con la tifoseria: “Non ho mai parlato nel corso degli anni perché non ho mai cercato di ingraziarmi le simpatie dei tifosi, sono riuscito a non parlare per undici anni. Anche per questo forse non sono mai stato molto amato. Non parlavo perché non mi interessava, applausi e fischi per me erano la stessa cosa, non mi esaltavo e non mi deprimevo quando scendevo in campo. La vita continuava comunque. Quando sono arrivato alla Lazio c’erano tanti big come Simeone, Stam, Mihajlovic e altri. Sapevo di non essere al loro livello, era una squadra stellare, mentre nella Lazio successiva potevo starci. Con Delio Rossi avevo un grande rapporto, lui sapeva che quando servivo io c’ero. Quando presero dal Milan Pasquale Foggia, che è un giocatore fantastico, non giocò mai nei primi mesi. Giocai sempre io, perché evidentemente riuscivo a garantire determinati equilibri. Delio è un allenatore bravo a lavorare sui giovani, insegna calcio. Un giovane con lui migliora tantissimo. Lui mi aveva capito, sapeva che anche se mi teneva in panchina io ero sempre pronto. C’era chi dopo due o tre panchine era morto, io no.Roma è una piazza un po’ strana, ancora prima che toccavo il pallone mi fischiavano e questa cosa mi divertiva moltissimo, mi faceva ridere. Perché? Perché capivo che era premeditata. I fischi non erano legati alla mia prestazione, quando giocavo bene non mi applaudivano, quindi avevo trovato un mio equilibrio, una serenità interna. Quando ti fischiano non è bello, ma io riuscivo ad andare avanti anche con i fischi di sottofondo. Ero arrivato a un punto in cui sentivo che non c’era affetto, se mi applaudivano o meno non mi cambiava tanto. La Lazio per me è stata un’esperienza positiva, soprattutto nei primi anni mi sono confrontato con giocatori di livello internazionale. Dispiace che non sono riuscito a dimostrare quello che avevo fatto al Chievo, è ovvio, ma è un’esperienza che mi porterò per sempre dietro”.

Manfredini alla Lazio sarebbe dovuto arrivare insieme ad un altro giocatore del “Chievo dei miracoli”: “Il Chievo stava per vendere anche Luciano alla Lazio. Io e il presidente Campedelli in quel momento siamo stati i primi a sapere che lui non si chiamava Eriberto, ma Luciano. Sono stato due anni con lui, il paradosso era che quando lo chiamavi Eriberto si girava. Comunque per tutti e due, Campedelli voleva circa 30-40 miliardi, poi saltò fuori questa cosa e la trattativa per Luciano saltò. Inoltre Cragnotti non riusciva a vendere alcuni big, quindi voleva far saltare anche la mia trattativa. Si misero in mezzo agli avvocati, io arrivai alla Lazio il 30 agosto”. Aneddoto divertente è quel gol segnato ai rosanero, che dal 2 a 0 ha portato la vittoria ai biancocelesti per 4 a 2: “Ricordo con piacere il gol di chiappa segnato al Palermo  il pallone andò sulla chiappa fortunata, io volevo deviarla in qualche modo e andò bene. Il momento più bello è quando siamo andati in Champions League, il peggiore è l’addio, gli ultimi anni. La situazione poteva essere gestita in maniera diversa. Sono andati via Peruzzi, Rocchi, che credevo restasse in società, è un peccato poi che certe storie finiscano così”. Poi sulla finale di Coppa Italia vinta contro a Sampdoria: “Dopo il rigore di Dabo mio figlio entrò in campo, a lui del calcio non frega niente, voleva solo correre in campo. La Coppa Italia è stata davvero una bella esperienza”. 

Ora è il momento di parlare di Lazio: “La Lazio è una buona squadra. Djordjevic non lo conoscevo, ho parlato con un preparatore della Lazio e mi ha detto che è un giocatore con i movimenti alla Rocchi ma più fisico. Per quanto riguarda l’ambiente serve più armonia tra pubblico e società, c’è sempre astio. Le motivazioni si sanno, ma se c’è diatriba non si vince mai, così è dura”. Sul lunch match di domenica prossima, Fiorentina-Lazio: “La Lazio a Firenze ha fatto sempre bene, anche quando c’ero io abbiamo sempre fatto la prestazione. La favorita? Dico 55% Fiorentina e 45% Lazio, solo perché i viola giocano in casa”. E’ la volta del campionato: “La Roma la vedo favorita come rosa, non come gioco, ha ricambi superiori alla Juve. Dietro c’è la Lazio, l’Inter, sono tutti cantieri aperti. In generale vedo che si fatica a mantenere continuità di risultati”. I giovani biacocelesti? Keita?E’ un giocatore bravo, salta l’uomo. Deve riuscire a capire che deve aspettare il suo momento, molti invece cambiano la società perché vogliono giocare subito. Ma sai quello che lasci, non sai quello che trovi. Io avevo capito che ero in una società importante, c’era un allenatore che sapevo che mi poteva dare tanto. Una volta in un Reggina-Lazio ricoprii cinque ruoli, c’era chi invece se gli cambiavi ruolo si sentiva male”.

Radu è sempre esaurito?”. L’intervista si chiude con questa domanda, un aneddoto sul suo ex compagno Stefan Radu:  Vi racconto questa cosa, se lo sa mi ammazza. Certe mattine si presentava che puzzava di aglio perché la ragazza gli cucinava dei piatti con l’aglio. Che risate. Lui con Delio inizialmente giocava centrale, secondo me può giocarci, ma bisogna vedere da quanto non ci gioca”. E’ molto che non gioca centrale: “Allora abbiate paura è mezzo pazzo ma è uno tosto, un grande giocatore. Ricordo che aveva una paura che gli cascassero i capelli. Chi erano i più divertenti? I più esauriti al massimo. C’era Cesar che faceva scherzi dalla mattina alla sera. A me mi lasciava abbastanza tranquillo”.

 

Valerio Iachizzi

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