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Massimo Maestrelli incensa Sarri: «Mi ricorda mio padre. Sullo scudetto del ’74 dico questo»
Massimo Mestrelli, figlio di Tommaso, allenatore della Lazio scudettata del ’74, ha parlato ai canali ufficiali biancocelesti
Ospite a Lazio Style Radio, Massimo Maestrelli ha parlato così in occasione dell’uscita del docufilm sulla Lazio scudettata del ’74:
DOCUFILM LAZIO ’74 – «Su un progetto così bello e coinvolgente non ci avrei mai creduto. Il fatto che si continui a parlare a distanza di 50 anni, fa capire la grandezza di quel gruppo».
SARRI – «La prima volta che ho conosciuto Sarri era a Montecatini. Lui si fermò a parlare con me e mia moglie, e mi fece un sacco domande. All’epoca stava ancora al Napoli. Lui era affamato di calcio, era colpito dalla Lazio che giocava un calcio diverso da tutte le squadra d’Italia. Io mi auguravo che potesse venire alla Lazio, quando ho saputo della sua firma, a giugno come quella di mio padre, ero molto felice. Ciò che mi piace di Sarri è che lui difende sempre la Lazio. Per me è entrato nella mentalità, è un uomo strutturato che fa scudo con il suo corpo. È molto simile a mio padre: non ha paura di parlare, dice quello che pensa. È schietto. Poi sono anche entrambi toscani, che hanno tutti caratteri particolare. Mi piace come affronta i problemi. Ho avuto la fortuna di parlare con lui alla cena di Natale, credo provi grande affetto nei miei confronti. È sicuramente un affetto ricambiato».
RAPPORTO TRA I FIGLI DELLA LAZIO DELLO SCUDETTO – «È un rapporto bellissimo, che non è automatico tra noi figli. È stata una cosa spontanea e credo che ai nostri genitori faccia molto piacere. Oddi ci ha invitato a pranzo a Natale ed eravamo tutti insieme. Loro ci hanno trasmesso un amore e un rapporto che continua nel tempo, e anche con i giocatori. Con Oddi e Martini ci sentiamo sempre, abbiamo un rapporto maturo. Da piccoli gli rompevamo sempre, era un po’ una forzatura. Ora è un qualcosa di consapevole. Per molti, Tommaso Maestrelli ha rappresentato un papà. Per i giocatori era come aver avuto a fianco una figura paterna. Avevano un rapporto che andava oltre il campo da calcio».
STORIA DELLA LAZIO – «È una storia strana. La tragicità di queste morti ha portato la storia sopra tutti. Io mi ricordo che l’inizio per babbo è stato durissimo a Roma, stavamo per tornare a Bari. Una sera gli avevamo chiesto cosa significasse ‘essere licenziato’, e lui ci disse che non doveva mollare e restare qui per fare qualcosa di buono. E l’ha fatto. Forse l’aver fatto qualcosa di così grande ha dato fastidio a qualcuno l’ha sopra (ride, ndr). La morte più difficile è stata quella di Re Cecconi. Ci eravamo rialzati da poco dalla scomparsa di babbo, e vederlo così per terra a Via Nitti non è stato facile per dei ragazzi di 12 anni. Io non so darmi spiegazione, ma sentiamo l’affetto delle persone tutti i giorni. Avviene da 50 anni, e questa è la cosa più grande che un figlio possa provare per la scomparsa di un padre e dei propri fratelli, ovvero i giocatori».
VITTORIA – «L’immagine dello Scudetto di mio padre è inverosimile. Non ho mai visto una persona bloccata su quella panchina per l’emozione. Aveva quasi paura di perdere l’opportunità. Forse voleva concentrarsi per rimanere aggrappato a quel momento. Lui poi era abbastanza moderato in tutte le emozioni. La sera invece nei suoi occhi ho visto la vera felicità, l’ho visto impazzire di gioia al ristorante mentre beveva».