2015

Mister Pioli e la mamma CT: “Ho cresciuto Stefano a pane e pallone”

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I segreti della Lazio dei miracoli, delle otto vittorie consecutive e del sorpasso sulla Roma, si nascondono in un fazzoletto di terra steso sulla Pianura Padana. Siamo a San Polo di Torrile, a dieci chilometri da Parma. Qui affondano le radici dell’uomo che, senza urla e senza proclami, sta trasformando il sogno in realtà: Stefano PioliPapà Pasquino e mamma Maria Luisa vivono di calcio e per il calcio, anche adesso che hanno passato la settantina. E sanno che una partita di pallone è gioia, divertimento, spettacolo, mica ansia o preoccupazione. Se non fosse così la loro sarebbe stata una vita impossibile, con tre figli calciatori (Leonardo, Stefano e Danilo) poi diventati allenatori. E ora in campo ci vanno i nipoti, e loro, i nonni, sono sempre dietro: li seguono, tifano, li sostengono. Quella dei Pioli è una dinastia che si riconosce in un solo credo: il calcio. La Gazzetta dello Sport è andata ad intervistare i genitori del mister che sta facendo volare la Lazio.

IL CARATTERE DEL MISTERStefano aveva, e ha ancora, un carattere simile al mio, dice mamma Maria Luisa, non molla mai, combatte, lotta, incassa le delusioni e le sconfitte e si rialza subito”. “Un giorno andammo a fare un provino al Bologna, era l’inizio degli anni Ottanta dice papà Pasquino, Stefano marcò Mancini, e non gli fece toccare il pallone. Il selezionatore, a fine partita, mi disse che voleva rivedere Leonardo, perché secondo lui poteva fare carriera, mentre Stefano non gli interessava. “Smetterà presto, non ha qualità” sentenziò. Io lo raccontai a mio figlio e sapete che cosa mi rispose Stefano? “Di’ a quel signore che io arrivo in A”. Ci è arrivato”. Tenace ai limiti della testardaggine, ma anche educato, riservato, poco amante del palcoscenico. Forse proprio questo è stato il suo limite, o la sua fortuna: dipende dai punti di vista. Stefano non ha mai pensato a farsi pubblicità, a mettersi in mostra, a frequentare i salotti del pallone. E probabilmente questa è la ragione per cui, da allenatore, è arrivato un po’ tardi nel Gotha. D’altronde, il massimo delle pubbliche relazioni che si concede è, d’estate, una passeggiata al Tennis Club Parma, un tuffo in piscina, quattro chiacchiere con gli amici di sempre e poi via in pizzeria con tutta la famiglia. C’è chi, con un curriculum decisamente inferiore al suo, si atteggia molto di più, ma è questione di carattere. “Stefano pensa al lavoro e non alle parole” conclude Maria Luisa.

MAESTRI E PROCESSI – Questa storia di vita e pallone nasce in un quartiere a ovest di Parma, la zona dei prati Bocchi. Papà Pasquino, che per mandare avanti la famiglia lavorava alle poste e poi faceva il muratore, portava i figli alla Coop Nord Emilia, una società sportiva che aveva la sede vicino a casa. “Allenavo la squadra di Stefano, l’annata 1965. Lui faceva lo stopper, era già molto bravo. E sapete chi era il mediano davanti alla difesa? Michele Pertusi, il cantante lirico. Abbiamo vinto due campionati in una stagione sola: giocavamo al sabato il torneo Uisp e la domenica quello Csi. Eravamo fortissimi”. Già, poi Stefano venne scelto dal Parma e lì incontrò un maestro. “Bruno Mora è stato un fenomeno, spiega mamma Maria Luisa. Spiegava ai ragazzi come calciare il pallone, come stopparlo, come smarcarsi. Era uno spettacolo. Ecco, quando dicono che il calcio italiano deve migliorare, io saprei che cosa fare: mettete bravi allenatori nei settori giovanili, è lì che si formano i campioni”. Stefano lo hanno formato bene: al Parma, prima di essere ceduto alla Juve per un miliardo, regalò una promozione dalla C alla B. Gol decisivo nell’ultima gara a Sanremo, sotto il diluvio. Era il 1984. “E’ passato tanto tempo, ma io non sono mica cambiata, sa? dice ancora Maria Luisa. Quando Stefano perde, appena mette piede in casa lo guardo di traverso. “Mamma, hai già cominciato il processo? Che cosa ho sbagliato?“. Il fatto è che pretendo il massimo, tutto qui”. Già, e adesso che il secondo posto è stato raggiunto bisogna difenderlo con i denti. “Ma sono tranquilla, ai miei figli ho insegnato come si fa”.

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