2013
Parma-Lazio, la sfida dei destini incrociati
Quella di Lazio e Parma a cavallo fra la fine degli anni novanta e l’alba del nuovo millennio è una storia dal sapore amaro. Una storia da cinema americano, da best seller in libreria, tanto ha dell’incredibile. Una storia repentina di gloria, caduta e risalita, che ha visto le due società, in un breve lasso di tempo, costrette ad abbandonare il tetto d’Europa per fronteggiare l’incertezza di un futuro che ne ha seriamente messo a repentaglio la stessa esistenza. I destini incrociati di Parma e Lazio partono sul campo di gioco, ma ne terminano ben al di fuori. Sul rettangolo verde gli stessi crociati gialloblu, mai considerati più di una “provinciale” e mai significativamente fastidiosi a chi è abituato ai piani alti della classifica, sfiorano nel 1997 lo Scudetto, ma si guadagnano comunque un palmarès di tutto rispetto: è del 1998, con Ancelotti seduto in panchina, il trionfo in Coppa Uefa, strappata al Marsiglia con un perentorio 3-0; l’anno dopo Malesani subentra alla guida dei parmensi e si aggiudica subito Coppa Italia e Supercoppa Italiana. In campo la squadra è trascinata da fuoriclasse del calibro di Buffon, Crespo, Thuram e Cannavaro, pezzi da novanta che di lì a poco scriveranno anche la storia delle loro rispettive nazionali. Nel frattempo, sulla sponda capitolina, l’era Cragnotti inaugurata nel 1992 riaccende la passione e lancia sfida aperta allo strapotere delle “strisciate”. La sua era la Lazio degli investimenti, decisi ma almeno apparentemente assennati, che portavano in biancoceleste dei “galacticos” a prezzi “scontati”; era la Lazio che si vide ingiustamente sfuggire il tricolore del 1999, finito sul petto rossonero del Milan di Zaccheroni; la Lazio che pochi mesi dopo conquista il suo secondo Scudetto, strappato alla Juventus, e la Coppa Italia a sancire il double, antenato dell’ormai celebre triplete. Lo Special One di turno, e non ce ne voglia Mourinho, si chiamava Sven Goran Eriksson. Le Aquile volano alto persino in Europa, sconfiggendo in finale di Supercoppa 1999 gli “invincibles” di Sir Alex Ferguson, con i Red Devils del Manchester United (una costellazione di fenomeni fra i quali ricordiamo Gary e Phil Neville, Scholes, Giggs, Beckham) costretti ad alzare le mani davanti ai vari Veròn, Mihaijlovic, Simeone e capitan Nesta. Poi, ex abrupto, il brusco risveglio, quasi in contemporanea. Le analogie sono lapalissiane, le trame intrecciate come non mai. Tanzi e Cragnotti, la Parmalat e la Cirio; il crack inaspettato e i debiti, tanti e insolvibili; la legge Marzano e il salvataggio in extremis, la svendita delle stelle, obbligata e sofferta. La fine dell’età dell’oro. Motto popolare e citazione abusata vuole ritenere forte non colui che giammai cade, ma chi, cadendo, trova la forza di rialzarsi. La risalita di gialloblu e biancocelesti è da tempo cominciata, nonostante qualche fantasma continui di tanto in tanto a bussare alla porta, sotto le vesti di scarsi finanziamenti riservati al mercato e vari problemi economici. Di questi tempi non si farà la storia d’oltralpe come al tempo delle finali nei grandi stadi europei, ma qualche sfizio e sassolino dalla scarpa le due squadre se lo sono effettivamente tolto, per quanto intervallato da scivoloni sensazionali. Oggi il match del “Tardini” non ha di certo il rilievo che avrebbe avuto vent’anni fa, né probabilmente la stessa importanza se si guarda la classifica. Ma accanto ai tre punti la vittoria varrà qualcosa in più: una fetta della fu età dell’oro, in palio fra le due squadre dai destini paralleli.