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Parolo: «Mi ricordo quando sono arrivato alla Lazio. La spontaneità dei tifosi mi ha colpito»
Parolo: «Mi ricordo quando sono arrivato alla Lazio. La spontaneità dei tifosi mi ha colpito». Le parole dell’ex biancoceleste
A Radiosei è stato ospite Marco Parolo, ex Lazio e oggi opinionista di Dazn, che insieme al collega Marco Cattaneo ha scritto il libro ‘Quando Giochi’, presentato ieri e oggi raccontando ai microfoni dell’ emittente romana. Tanti gli argomenti trattati. Ecco le sue parole.
PAROLE– «Ricordo la prima volta che sono tornato come opinionista per Dazn. Entro all’Olimpico e la gente si alza in piedi per applaudirmi. Io non li avevo mai salutati, perché con Senad avevamo finito con il Covid e quindi gli stadi erano vuoti. Sono uno che fa fatica a commuoversi, ma in quell’occasione mi sono emozionato, la spontaneità dei tifosi mi ha colpito. Mi ricordo le prime parole che ho sentito quando sono arrivato alla Lazio, non eravamo partiti benissimo e incontrai un laziale in un negozio che mi disse che dovevo dare di più, perché qua si ricordano sempre di chi si sacrifica per la maglia (si emoziona, ndr) ».
ESPULSIONE IN NAPOLI LAZIO– «Quella partita fu infinita. Dopo il gol, nel secondo tempo mi feci buttare fuori ma pochi sanno il motivo. A inizio secondo tempo mi si era rotto lo scarpino destro, erano partiti i lacci e io avevo mandato un magazziniere a prendere un altro paio di scarpini, ma al San Paolo per arrivare negli spogliatoi dovevi fare un giro lunghissimo. Nel frattempo io faccio un fallo su Callejon in ripartenza e vengo ammonito, loro segnano il 2-1 e poco dopo uscendo in pressione su Dzemaili freno tardi, lui mi salta e il piede non mi regge, secondo giallo e rosso. Ero imbestialito, entro nello spogliatoio, lancio le scarpe e mi metto seduto in un angolino a vedere la partita in tv, senza andare in tribuna, Higuain aveva appena pareggiato. Quando fischiano il rigore a Napoli mi crolla il mondo addosso, dopo aver segnato ero stato espulso. Tutte le volte che mi vedo con i magazzinieri ci ripensiamo. Mi ricordo che quando esce dallo spogliatoio con le scarpe, vede me entrare (ride, ndr) ».
RAPPORTI COI COMPAGNI– «Negli anni si crea un gruppo di rapporti. Penso a Radu, Senad, Mauri. Quest’ultimo mi ha insegnato come si gestiscono certe dinamiche nello spogliatoio, come far sì che tutti vadano d’accordo. Ognuno aveva i propri ruoli: Lulic lo era in campo, io dovevo gestire altre cose. Nascono dei rapporti, dei legami, anche per mezzo di scherzi e discussioni ».
CAICEDO– «Bella la sua storia. Sbaglia due gol a Crotone, lo volevano mandare via tutti. Ricordo che in ritiro che noi ci esponiamo per tenere Caicedo, preferivamo lui piuttosto che un altro, perché si allenava bene, era gradevole nello spogliatoio e aveva capito che davanti aveva Ciro Immobile, poteva così convivere con questo ruolo. Alzava il livello dell’allenamento e la competizione »
LEIVA– «Il fallo in Supercoppa contro la Juve, su Cuadrado, lanciò un segnale. Giocò quella partita al 60%. Ricordo che quando giocavamo insieme io spostavo l’uomo e lui lo sparava via. Era una certezza, portò esperienza internazionale nello spogliatoio, come fece Klose prima. Per noi fu fondamentale, come possono esserlo queste figure nella Lazio. Ha fatto una carriera incredibile »
KLOSE– «Miro è stato un altro esempio. Era un giocatore fortissimo a livello mentale, oltre che calcistico. Un anno siamo stati in quattro a segnare dieci gol, lui, io, Felipe Anderson e Candreva, ma solo grazie ai suoi movimenti. Io lo metto in mezzo a Dzeko e Immobile, non era solo un bomber, ma faceva anche segnare »
LIBRO– «Se avevo paure da bambino? Ma anche da adulto. Se pensiamo ai rigori ricordo quelli dell’Europeo, io avevo paura ma anche l’eccitazione di avere questa responsabilità. Ricordo che quando tocca il mio momento deglutisco e nella camminata penso a tutto, sembrava infinita e mentre andavo verso Neuer pensavo a quanto mi avrebbero preso in giro i miei amici se lo avessi sbagliato, così mi tranquillizzavo. Quando giochi al parchetto con gli amici sei molto più rilassato, pensare a queste cose mi dava una carica che mi cancellava le tensioni. Preziose sono state anche le parole di Buffon, i consigli nei giorni prima. Per me andare al campo era giocare, far vedere chi sono, quello era il divertimento. Forse facendo vedere questa passione, gli altri hanno calibrato la loro visione verso di me, notavano che avevo una voglia di giocare che gli altri non avevano. Se un ragazzo vuole fare quello che ama, non deve farsi influenzare».