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Patric: «Conoscevo già la Lazio perché è una squadra storica. Sono orgoglioso di essere qui»

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Patric: «Conoscevo già la Lazio perché è una squadra storica. Sono orgoglioso di essere qui». Le parole del biancoceleste

Per celebrare le sue duecento presenze con la maglia della Lazio, il centrale biancoceleste Patric è intervenuto ai microfoni di Lazio Style Channel raccontando tutta la sua carriera. Ecco le sue parole.

PAROLE–  «Non ti dico di no. Io sono una persona che nelle difficoltà si è sentita molto forte. Tutto quello che mi è successo, anche in negativo, è giusto che sia accaduto. Quando sono arrivato non ero pronto. Ero un bambino, non solo nel calcio, anche nella vita. Sono una persona molto sensibile. A volte quando si parla dei calciatori si fa riferimento solo a quello che si fa in campo, ma in realtà sono persone, ognuna con una personalità che cambia il proprio modo di stare in campo. Quando si gioca a calcio ci sono molti aspetti da considerare. In quel momento io non ero pronto e penso che l’aspetto che non mi ha fatto mai essere escluso è che ho sempre lavorato, ascoltando e imparando. Andavo sempre a duemila, sapevo di avere le qualità, ma anche che dovevo maturare sotto molti aspetti. Ci ho sempre creduto! ».

LA PARTITA PERFETTA– «Non ne ho una in particolare, vivo ogni emozione al massimo. Sono fatto così, quindi non quale scegliere. Mi piace vivere le partite. Poi è normale che a livello di importanza giocare la Champions è il sogno di tutti i grandi giocatori e le grandi società. Vivere una notte come quella contro il Bayern Monaco in un Olimpico pieno è speciale. Poi lo sono anche tutte le partite in casa, meno quelle in trasferta. Le vivo tutte come se fossero l’ultima ».

ARRIVO ALLA LAZIO– «Io conoscevo già la Lazio perché è una squadra storica, poi il calcio italiano mi è sempre piaciuto e sapevo di poter imparare tanto. Non pensavo di restare così tanti anni, ma credo che per crescere e maturare non potevo stare in un posto migliore. Forse restando in Spagna la mia carriera non sarebbe stata così buona. Venire in un posto dove non parlavo la lingua, dove mi sono chiuso con i miei genitori, dove pensavo solo a giocare a calcio ha fatto parte della mia crescita. Ho avuto modo di vivere la mentalità italiana, molto più duro rispetto alla Spagna, dove di solito sono più leggeri con i giovani. Penso che stare qui mi ha fatto bene per crescere e diventare un calciatore a certi livelli. Sono orgoglioso di essere qui, mi trovo molto bene ».

SPIRITO LAZIALE– «Lo avevo sentito tanto nei primi anni. Anche se non giocavo, anche se venivo criticato, capivo la situazione e l’ambiente Lazio mi entrava dentro. È come una famiglia. In certi momenti ti emozioni da solo senza pensarlo, significa che c’è qualcosa che ti è entrato dentro. La Lazio la porterò con me sempre, è la mia squadra del cuore. Ha qualcosa di speciale. Chi passa tanti anni qua si rende conto che non ne puoi fare a meno. Te la ricorderai per sempre. Ti entrano dentro i tifosi e la maglia. La gente muore per andare allo stadio a vedere la Lazio che vince. Sono valori che abbiamo da sempre e che ti fanno amare la maglia ».

COME ESSERE RICORDATI– «Il più bello nella vita è essere esempio per quelli che vengono. I calciatori vanno e vengono. Mi piace che i genitori possano raccontare la mia storia ai propri figli, che devono lottare per i propri sogni. Prendermi come esempio è la cosa più bella che possa ricevere. Sono sempre stato un lottatore e mi piacerebbe esser ricordato come un esempio di crescita per i bambini ».

GIOCATORE CHE TI HA DELUSO IN CAMPO– «Come qualità in allenamento da 9 anni che sono qua, come Ravel Morrison non c’era nessun altro. Il problema è che il calcio non è solo talento. A volte non è neanche colpa solo del calciatore, ma dell’ambiente che hai intorno. Al campo vieni un’ora e mezza, le altre 22 ore e mezza le passi con la famiglia e chi ti sta intorno. Per lui era questo il problema, ma in allenamento aveva una qualità superiore. Con questo talento era al livello di a Luis Alberto, forse anche di più negli spazi stretti. Faceva cose incredibili, però la differenza la fa la testa, il voler pedalare e questo a lui lo ha penalizzato tanto ».

SU MILINKOVIC– «Sergej. Quando è arrivato i primi mesi si vedeva una superiorità fisica e tecnica. Era difficile vedere un giocatore così alto che esprimesse questa qualità palla al piede. Se metti le due cose insieme sapevo che era un giocatore speciale per la Lazio. Si vedeva da lontano ».

FUORI DAL CAMPO– «Parlo tanto con la mia famiglia. La cosa più importante per trovare la tua miglior versione non solo nel calcio è stare bene con te stesso. Per trovare questo momento qua, dobbiamo passare delle cose diverse e non possiamo giudicare gli altri. Mi devo godere il mio momento e la mia storia, me lo sono meritato e sono tranquillo, fiero di me stesso, felice di stare qua. Non devi mai abbassare la guardia ed avere la consapevolezza che la vita non è sempre uguale. A volte succedono cose che ti possono cambiare, ma devi restare umile. Sono una persona molto più matura, so gestire le emozioni positive e negative e questo mi fa stare tranquillo e sereno ».

SALUTE MENTALE– «Si, senza dubbio. Ci sono tante situazioni ma anche partite in cui non vedevo il pallone. A volte sono stato troppo buono. Il fatto di non dire che stavo male per non deludere e per fare felici gli altri e non me. Erano tutti infortunati, dovevo giocare io per forza e per me non giocare era deludere. Mi dicevo ‘come faccio a non giocare solo perché sto male’. Era troppo facile rinunciare. In quello momento non stavo bene, ma affrontare quel momento mi ha fatto diventare quello che sono. Non affrontare questa paura fare la cosa più facile, ovvero rinunciare a giocare, non mi avrebbe reso così maturo. Ricordo una partita con il Sassuolo in casa, con il Bruges in Belgio, non vedevo il pallone e non stavo bene. Non capivo perché. Stoppavo il pallone e la passavo al compagno più vicino. Alla fine ho superato tutto. La salute mentale è tutto. Sin da quando sono bambino penso che l’importante sia godersi la vita ed essere felice. Quando cresci ti rendi conto che la vita è piena di difficoltà e quando meno te lo aspetti arrivano ».

PERIODO DIFFICILE– «Si, l’avevo accennato un po’. Per esempio mi venivano gli attacchi di panico negli aerei quando viaggiavamo. A volte qualcuno rideva, ma io volevo fare il forte, che non mi succedeva niente. Alla fine è stata una cosa molto grave e me la sono tenuta sempre per me. Questo è stato un errore perché bisogna chiedere aiuto prima. L’ultima cosa che volevo era giocare a pallone. Se non ti senti bene non puoi fare un lavoro come il nostro. Devi essere tranquillo e sereno con te stesso. Mi svegliavo la mattina senza la voglia di fare niente, avevo perso il senso di vivere. Mi chiedevo perché dovessi andare a lavorare. Sono sempre stato un po’ ipocondriaco. Il fatto di vedere in tv la gente che stava morendo per covid e io stavo da solo, mi faceva fare mille domande e mi ha fatto andare in crisi ».

PERIODO COVID– «Non so se avremmo vinto lo scudetto, ma ci saremmo andati vicino fino all’ultimo. Ne sono sicuro. Le sensazioni che avevo l’ultima in casa con il Bologna con 70 mila persone allo stadio, vincevamo le partite dopo 20 minuti. L’energia che avevo non l’ho mai avuta in tutta la carriera. Mi stavo giocando tutto, per la prima volta mi sentivo un pezzo importante, vincevano sempre e si parlava in Europa in tutti noi. Ritrovarsi chiuso a casa poco dopo è stato difficile. Mi ripetevo di tenere botta e mi ammazzavo di allenamenti a casa. Ma non vedevo l’uscita e non ho saputo gestire questa situazione, era la prima volta che mi succedeva. Ce lo saremmo giocato fino alla fine, sono sicuro ».

CAGLIARI LAZIO– «Sicuramente. Ce ne sono state anche altre ma quella è stata una pazzia ».

MUSICA– «Mi piace la musica perché è sempre stata molto presente a casa mia. Mia madre, mia sorella e miei nonni hanno suonato qualche strumento e hanno contato. Non l’ho mai presa sul serio perché ho sempre avuto chiaro che volevo fare il calciatore. La mia umile idea è che se fai il calciatore devi lasciare perdere il canto. O fai una cosa o l’altra, ma rispetto quelli che lo fanno, ma non penso a diventare cantante in futuro. È un hobby che mi piace e basta ».

RAPPORTO CON ROMA– «È come la Lazio. Ti entra nel cuore. Mi piace nelle giornate più tranquille nelle strade vuote prima di andare a dormire, fare una passeggiata con la mia ragazza. Vedere Roma è bello, i suoi monumenti. Camminare per Roma è speciale, una delle città più visitate al mondo »

PAROLA ROMANA PIù SENTITA– «Ao (ride, ndr) ».

ITALIANIZZATO– «Nel cibo. Difendo molto la Spagna come è normale, ma l’Italia sul cibo non ha rivali. È devastante come si mangia qua »

PIATTO PREFERITO– «Tutto. Non so dirti perché non ce n’è uno che mi piace. Noi in Spagna usiamo molte più salse, voi lasciate che il cibo parli per se stesso. Mi sono affezionato a questo, mi piace mangiare in ogni osteria in centro, è tutto buono».

FINE CARRIERA– «Ancora non lo so. Ho comprato casa qua, mi sento uno di voi. Non ho deciso, manca qualche anno. Penso che bisogna stare vicino ai propri genitori. Quando saranno più grandi dovrò stare con loro come hanno fatto loro con me. Finché ci saranno sarò sempre al loro fianco, vogliono godermeli il più possibile ».

VACANZA IDEALE– «Al mare. Però non tutto il tempo sotto al sole, sono troppo bianco e divento rosso come un gambero ».

LEZIONI DA TRAMANDARE– «Le situazioni di difficoltà ti rendono più forte. Se te la prendi con gli altri non c’è niente da fare, è solo un cercare scuse. Nella tua anima senti questo, devi far vedere chi sei. La gioia più grande è dimostrare a te stesso il fatto che puoi cambiare la situazione. È bello che la gente se ne renda conto e che ti dica che è fiera di te e della tua storia. Questo mi rende orgoglioso. Sono stato criticato, ma non sono mai sceso in campo con paura. Prendiamo tanti soldi, è giusto che veniamo giudicati dai tifosi. A volte passi momenti negativi, tutti i giocatori lo hanno fatto. La differenza tra un giocatore forte e uno meno sta nella volontà di affrontare queste difficoltà ».

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