Nazionali

Pessina: «Mancini ci ha fatto diventare un gruppo. Sull’Atalanta…»

Pubblicato

su

Matteo Pessina ha parlato del magico Europeo con l’Italia e degli obiettivi con l’Atalanta nella prossima stagione

Matteo Pessina, centrocampista dell’Atalanta e della Nazionale italiana, in una intervista a La Gazzetta dello Sport è tornato a parlare della magica esperienza all’Europeo e degli obiettivi che si pone con la maglia della Dea.

JACOBS TAMBERI – «Mi sono emozionato per Jacobs come non mi accadeva da tempo, mi sono commosso. Noi italiani sappiamo reagire come pochi alle difficoltà. Personali e collettive. Tamberi ne è l’esempio. Ma è un tratto della nostra identità: veniamo da un tempo terribile, a Bergamo lo sappiamo come pochi, eppure sappiamo rialzarci. E questo ci mette un gradino sopra gli altri, specie nelle prove più difficili».

SPIRITO DI SQUADRA – «Vero. C’erano Francia, Belgio, Inghilterra che sembravano più affollate di campioni. Mancini però ha creato dal primo momento un incredibile spirito di squadra. Credo che da fuori si sia avvertito che tra noi esisteva davvero una vera unione e, mi creda, non è facile che accada. Ci si vede poche volte all’anno per pochi giorni. Mancini ci ha fatto diventare subito un gruppo, non una somma di individualità. Abbiamo capito che stava accadendo qualcosa di magico. A ogni allenamento Sirigu e Acerbi ce lo ripetevano».

MOMENTO PIU EMOZIONANTE – «Il gol con l’Austria, che ci ha fatto andare avanti. Dalle reazioni ho capito una volta di più ciò che la Nazionale è per il nostro Paese. Abbiamo vissuto dei giorni bellissimi, in cui ci sentivamo legati. Io sono stato il più dispiaciuto per l’infortunio di Sensi, che pure mi ha consentito di essere nella rosa. O per quello di Pellegrini e poi di Spinazzola. Il dolore di questi ragazzi ci ha unito ancora di più».

MANCINI E VIALLI – «Si completano. Mancini ci ha dato solo due compiti tattici: costruzione del gioco e fase di non possesso. Poi ci ha detto di divertirci, ci ha dato fiducia. Anche prima della finale ci ha raccomandato di fare quello che sapevamo fare. Ci ha alleggerito e responsabilizzato. Vialli ha agito sulla parte emotiva, prima delle partite ci faceva dei discorsi capaci di emozionare noi tanto quanto si emozionava lui nel farli. C’era una tensione quasi morale, ambizione e allegria si mescolavano».

SPORT – «Io ho sempre avuto passione per lo sport. Li ho fatti tutti, compresi judo e sci: ma nella cucina di mia nonna, insegnante di latino, io la facevo impazzire non smettendo mai di tirare calci al pallone. I miei genitori mi hanno consigliato di far convivere le cose in cui ero più capace: studiare e giocare a calcio. Forse erano preoccupati, ma non hanno mai tarpato le ali al mio sogno. Ora sono iscritto ad Economia alla Luiss, ho fatto sette esami. Quest’anno sono andato piano. Da settembre riprenderò a studiare, ma non ho fretta. La mia priorità ora è il calcio».

LEADER – «Non lo saprei spiegare. Posso dirle che Chiellini e Bonucci lo sono, ciascuno in modo diverso. Giorgio è più un padre di famiglia, Leo è più severo. Ma hanno un carisma eccezionale. Sanno aiutare chi sbaglia, incitare al momento giusto, mostrare combattività e lealtà, soffrire. E non si danno mai per vinti».

SCUDETTO ATALANTA – «Per il torneo la mia unica speranza è che si torni a giocare con il pubblico. Quest’anno tra tamponi e quarantene è stato drammatico. Vorrei risentire il calore della presenza dei tifosi. E anche per questo è giusto vaccinarsi. Per l’Atalanta, che è una società modello per organizzazione, centro giovanile e persino bilanci in regola nonostante la pandemia, posso solo dire, altrimenti il mister mi rimprovera, che ci proponiamo di fare meglio dell’anno scorso. E possiamo farlo…».

Exit mobile version