2015
Pioli-Sabatini, quell’amicizia nata in Serie C…
L’Italia di Bearzot aveva appena vinto il Mondiale al Santiago Bernabeu, al cinema irrompeva Sylvester Stallone con il suo primo Rambo e Berlusconi sbarcava in tv con Italia Uno e Rete Quattro. Anno di grazia 1982. Stefano Pioli portava i riccioli in stile Jackson Five, 17enne di belle speranze, pronto ad affacciarsi nel calcio che conta, guidato da Giancarlo Danova, vecchio stopper del Torino. Walter Sabatini aveva 27 anni e i capelli lunghi. Un’ala destra veloce e un po’ mattocchia. Piaceva a Nils Liedholm, che lo aveva allenato per una stagione (1976/77) nella Roma. Bruno Conti e un temperamento ribelle gli avrebbero sbarrato la strada verso il successo. Ancora oggi ricorda un gol sbagliato nel derby con la Lazio sparando il pallone in Curva Nord e si rimprovera, con un briciolo di umana vanità, per essersi ripreso solo da dirigente quello che il talento calcistico gli avrebbe potuto permettere di conquistare da giocatore. Una carriera finita in anticipo e dopo tanto girare (Perugia, Palermo, Vicenza, Siracusa, Venezia) in provincia. Parma penultima tappa nella vecchia serie C1, stagione 1982/83, Ernesto Ceresini presidente, un onorevole sesto posto, l’esonero in corsa di Danova per fare posto a Mora in panchina. Walter Sabatini era agli ultimi dribbling, appena 16 presenze e 2 gol, nella stagione successiva il trasferimento alla Pro Patria e poi il ritiro. Stefano Pioli stava iniziando una carriera molto importante, stopper promettente che due anni dopo sarebbe stato portato da Boniperti alla Juve di Platini per continuare a crescere alla scuola di Trapattoni e vincere la Coppa Intercontinentale a Tokyo subentrando a Scirea nella finale con l’Argentinos. Quel Parma non era niente male, pieno di talenti che poi avrebbero fatto strada in serie A: da Nicola Berti a Fausto Pari, passando per l’ex romanista Fausto Salsano e finendo con Giacomo Murelli, migliore amico nella vita e oggi vice di Pioli alla Lazio, che sarebbe diventato famoso nell’Avellino di Scibilia perché quando al Partenio arrivava il Napoli gli toccava marcare Maradona. Gli riuscì così bene che una volta il derby campano finì 0-0 e Murelli venne paragonato a Gentile.
INCONTRO – A Parma si conobbero appena Pioli e Sabatini, forse quanto basta per far scoccare la scintilla esplosa trent’anni dopo. Perché sì, questa è la sacrosanta verità. Come riporta Il Corriere dello Sport, solto quando la Roma è riuscita a portare Garcia a Trigoria sono stati soffocati i rimpianti per non aver scelto nel 2011 l’ex tecnico del Chievo, oggi apprezzato allenatore della Lazio. La famiglia Sensi era in uscita, la Roma americana aveva già cominciato a lavorare con la nuova dirigenza e il nome di Pioli figurava nella lista dei possibili candidati. Montella, troppo giovane e figlio della gestione precedente, neppure era entrato in corsa nonostante un bel finale di campionato che lo avrebbe proiettato sulla panchina del Catania. Baldini e la nuova proprietà spingevano per un grande nome, un uomo che potesse garantire un impatto forte con la piazza e riportare entusiasmo. Villas Boas, Bielsa, Unai Emery: questi erano gli allenatori a cui stava pensando la Roma. Walter Sabatini, fresco diesse giallorosso ed ex uomo forte di Lotito, convocò Stefano Pioli a Trigoria. L’antica avventura comune nel Parma, ma soprattutto le idee e la chiarezza di gioco dimostrate alla guida del Chievo e nella gavetta precedente in serie B (Salernitana, Modena, Piacenza, Sassuolo). Piaceva, piaceva molto a Sabatini. Sintesi calcistica e concretezza, una buona personalità per reggere le pressioni di una città come Roma. Ecco cosa pensava il diesse. Il dubbio non verteva sulle qualità umane e professionali del tecnico, era il nome a suscitare degli interrogativi, si temeva non fosse così forte per scaldare la piazza. Per provare a smontare quel muro di diffidenza, Pioli accettò persino di intervenire ad una radio privata romana. Era pronto a giocarsi le sue carte. Anche alla Roma faceva comodo, in quel momento, tastare il polso della città. «L’incontro con Sabatini è stato positivo, ora aspettiamo. Cosa posso portare in una grande squadra? Ho sempre sviluppato un calcio propositivo… Non è importante il modulo, ma come viene interpretato… I tifosi sono scettici? Altri allenatori in passato non sono stati accolti in pompa magna, poi il lavoro li ha premiati e sono stati riabilitati… Con Sabatini ci aggiorneremo la prossima settimana, quando avrò incontrato la proprietà del Chievo, il mio contratto è in scadenza» raccontò il 20 maggio a Tele Radio Stereo.
DIFFIDENZA – Non fece breccia la candidatura di Pioli, gli americani e Baldini spingevano per gli effetti speciali. E così venne scelto Luis Enrique, ex calciatore famoso, che per un anno aveva allenato il Barcellona B, figlio del guardiolismo e di un’idea senza contenuti. Un progetto abortito sul nascere. Un errore fatale che oggi Sabatini, ripensandoci, non fatica ad ammettere e rimproverarsi a bassa voce, conservando inalterata la stima calcistica nei confronti di Pioli che due settimane dopo sarebbe stato risucchiato dal vortice di Palermo. Zamparini aveva logorato il rapporto con Walter, ma non rinnegato il suo fiuto e così chiamò il tecnico emiliano in Sicilia. Un’esperienza brevissima, durata appena due mesi. Pioli s’è piegato, ma non s’è mai spezzato. E dopo essersi rilanciato a Bologna, si è preso la Lazio. Ora si sta tuffando verso il suo primo derby. Sfiderà la Roma e Sabatini. E chissà che non si prenda la rivincita. I giallorossi non li ha mai digeriti: 11 precedenti, 6 sconfitte, 4 pareggi, una sola vittoria (in rimonta su Zeman, Roma-Bologna 2-3 nel settembre 2012), l’esonero dal Parma dopo il ko (3-0) all’Olimpico il 12 febbraio 2007 per lasciare la panchina a Ranieri, altro romanista. C’è anche il 5-0 a favore di Garcia (Roma-Bologna dell’anno scorso) da cancellare. Quanto basta per riscrivere la storia di Pioli, mancato giallorosso, nuovo profeta laziale.