2015

Pioli: “Vogliamo puntare a vincere ogni partita. Ci rendiamo conto quanto abbiamo fatto di buono. Klose e Biglia? Due punti di riferimento”

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Stefano Pioli ha concesso un’intervista per Gazzetta Tv e ha parlato sia della sua carriera che del momento biancoceleste con la stagione vicina alla partenza. Ecco le parole dell’allenatore rilasciate al giornalista Paolo Condò:

 

Quando hai creato il ‘momento Al Pacino’ nello spogliatoio?

 

“Capita un po’ in tutte le stagioni il momento ‘Al Pacino’. Anche quest’anno, al derby e nella finale contro la Juve. Era una questione di centimetri e devo dire che per quella scena Al Pacino è stato di grande stimolo per noi allenatori. Ma ho anche un gruppo importante. Era giusto giocarci il derby per entrare in Champions dalla porta principale. Poi è andata male, ma è quella la mentalità che ci vuole in quei momenti. Poi a Napoli abbiamo avuto il giusto premio. Vogliamo essere una squadra che punta sempre a vincere ogni partita”.

 

In spogliatoio ci sono Klose e Biglia, due finalisti del mondiale…

 

“Ricordo benissimo l’arrivo di Lucas e Miro. Ci raggiunsero quando eravamo in ritiro in Germania.  Il rapporto tra i due è sempre stato di reciproca stima. Sono dei leader, punti di riferimento. Sono stati subito accolti con il giusto entusiasmo. Si sono calati con grande umiltà in un gruppo che aveva già raggiunto un equilibrio. Se nel calcio riesci ad abbinare valori tecnici e morali allora puoi andare lontano”.

 

Hai iniziato la carriera nel Parma, poi c’è stata la chiamata della ‘Vecchia Signora’…

 

“Al Parma eravamo tanti giovani di grande prospettiva.  La possibilità di giocare per la propria città e per la squadra per cui ho fatto sempre il tifo è stata una grande emozione: io che fino a qualche anno prima ero un ragazzo di curva. Poi un giorno mi dissero “domani fatti trovare al casello dell’autostrada che andiamo a firmare per l’Inter”. Poi al bivio Piacenza-Torino svoltammo. Pensai che avessimo sbagliato strada. Mi spiegarono che la Juve aveva offerto di più. Prima di arrivare a Torino dovetti subito tagliarmi i capelli…”.

 

Sei arrivato come il nuovo Cabrini, e poi accolto sotto l’ala protettiva di Scirea…

 

“Era uno spogliatoio fantastico. Il giovedì sera capitava di cenare con Gaetano e Dino Zoff. Ricevevi lezioni di vita straordinarie”.

 

Dove hai tirato fuori tutta questa personalità?

 

“Credo sia una cosa innata. Sono sempre stato un ragazzo educato e rispettoso, pur cercando di vincere. Scirea e Tardelli dicevano sempre “prova ad allenarti come fosse l’ultima volta che entri in campo”. Mi è rimasta per tutta la vita. Con umiltà bisogna cercare di essere ambiziosi”.

 

Riavvolgiamo il nastro a due partite: quella dell’Heysel e la finale di Coppa Intercontinentale contro l’Argentinos Juniors…

 

“Il primo è un ricordo tragico. Fui l’unico giocatore della Juve che era in tribuna perché infortunato, quindi avevo visto gli incidenti anche se dallo stadio non sembravano così gravi. Non conoscevamo la gravità della situazione e i commissari Uefa ci obbligarono a giocare. Anche il giro d’onore fu fatto per far rimanere i tifosi italiani all’interno dello stadio e far uscire quelli inglesi.  Ma ci fu comunque un’atmosfera strana, non da finale di Coppa. L’altro è uno dei ricordi più belli che ho da calciatore. Entrare al posto di Scirea è stato indimenticabile.

 

Poi, lasciasti la Juve. Un ricordo di Trapattoni e Platini:

 

“Sono dell’idea che un giovane deve sempre andare a giocare. Ho comunque un gran ricordo di Trapattoni. Platini? È un personaggio unico, davvero simpaticissimo”.

 

E quell’esonero a Palermo prima dell’inizio del campionato?

 

“È stata una situazione particolare, malgrado l’esonero ho sempre avuto un rapporto diretto con Zamperini. Quando ha capito che le cose sarebbero andate diversamente, piuttosto che esonerarmi dopo tre giornate, ha preferito farlo subito per lasciarmi andare a cercar fortune altrove. Fu un mese difficile. Il Palermo aveva da poco perso la finale con l’Inter in Coppa Italia e per via dell’Europa League iniziammo la preparazione molto presto. La squadra era stanca e molti volevano cambiare aria”.

 

Ti senti il Mr Wolf della Lazio, quello che risolve i problemi?

 

“Questo non lo so. So cosa significa essere un allenatore vincente. Sono quelli che riescono ad ottenere il massimo con l’organico che hanno a disposizione. Se punti alla salvezza e riesci sempre a salvare la squadra allora sei una allenatore vincente, come è successo ad esempio a Colantuono negli anni a Bergamo o a Sarri ad Empoli. Alla Lazio siamo partiti il 7 luglio dell’anno scorso e come obiettivo ci siamo fissati quello di tornare in Europa. Non abbiamo mai alzato la testa da quel traguardo. Ora ci stiamo rendendo conto di quanto di buono abbiamo fatto: siamo riusciti a giocare un bel calcio, a far divertire i nostri tifosi e trasmettere l’entusiasmo”.

 

Quanti sigari hai fumato ultimamente?

 

“Qualcuno in più, mi rilassano! Ma abbiamo lavorato davvero tanto. Beh, dipende anche dalla classifica..”.

 

 

 

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