2015

Proteste e scioperi: inizia il countdown per il derby più brutto della storia. Sicuri che il problema siano gli ultras?

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Scioperi del tifo e diffide. Proteste fuori dagli stadi e Daspo. Barriere, telecamere e multe per essersi seduti in un posto diverso da quello assegnato sul biglietto. Manca poco meno di un mese al derby della Capitale ma, differentemente dal solito, non è il countdown ad accompagnare l’ansia per l’evento calcistico più sentito dell’anno. Durante il mese di giugno Franco Gabrielli, prefetto di Roma, per motivi di sicurezza ha ordinato i lavori nelle due curve, la Nord e la Sud. Operazioni completate poi, tra fine agosto e inizio settembre, con il placido benestare delle presidenze della due società romane. Il piano di ristrutturazione ha portato l’innalzamento delle barriere che separano la curva dai distinti, in modo che i tifosi non possano scavalcare da un settore ad un altro; la divisione in due parti della curva con “l’installazione di un’apposita barriera” (anche questa impossibile da superare perché protetta da steward e polizia); riduzione della capienza a circa 8mila unità; “l’installazione di apposite separazioni, atte a creare corridoi per rendere più agevoli le operazioni di filtraggio e pre-filtraggio dei tifosi che accedono alle curve”. Inoltre prima dell’ingresso allo stadio sono effettuati controlli esagerati, donne e anche bambini costretti a fare file lunghissime sotto il sole cocente d’agosto o a togliersi le scarpe durante un temporale. Ovviamente questi provvedimenti hanno una causa scatenante, ci conviene partire da lontano.

 

Criminali e Hooligans olandesi – Abbiamo ancora impresse negli occhi le immagini di quanto successo il 3 maggio 2013, finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina, giorno in cui fu ucciso il sostenitore  napoletano Ciro Esposito. Appresa la notizia della morte del giovane, colpito da un proiettile esploso dalla pistola di Daniele De Santis (tifoso romanista), la curva azzurra pretendeva che la partita non venisse disputata e le autorità furono costrette a scendere a patti, per dare avvio al match, con un capo ultras partenopeo (“Genny la carogna”). Ad oggi le dinamiche dell’omicidio non sono chiare, ma Questura e Prefetto furono aspramente criticati dopo l’accaduto: sia per non essere riusciti ad evitare scontri fuori dallo stadio, sia per aver perso di mano la situazione all’interno dell’impianto. Scene di follia si sono riviste il 19 febbraio 2015, quando centinaia di “supporters” olandesi (giunti in Italia per l’incontro di Europa League Roma-Feyenoord) combinarono uno scempio inspiegabile a piazza di Spagna: bottiglie rotte, fumogeni, bicchieri e sacchi di plastica sparsi ovunque, la “Fontana della Barcaccia” del Bernini danneggiata gravemente. Non sono stati da meno gli ultras di Lazio (aiutati dai “piccoletti” del Wisla Cracovia, squadra gemellata) e Roma in occasione del derby del 25 maggio scorso, in cui furono registrati due accoltellati gravi fra i tifosi giallorossi. Un rimedio va trovato, in fondo siamo di fronte ad eventi sportivi, sono necessarie queste reazioni prima o dopo una gara di calcio?

 

 

Roma e Lazio Ultras si uniscono – Per logica conseguenza, finiscono sotto la lente di ingrandimento le scelte delle autorità. Le notizie fanno il giro d’Italia e non solo, vanno presi dei provvedimenti drastici. E come spesso succede nel bel paese, si aspetta l’evento grave per poi agire. Ecco che Gabrielli decide di attuare i cambiamenti di cui già siamo venuti a conoscenza all’inizio dello scritto. Ma la curva è la casa dei tifosi, la dimora del tifo organizzato. Si può dividere a metà la casa di qualcuno che si ritiene il padrone della stessa? Ad un’azione corrisponde una reazione, laziali e romanisti si sentono “privati della loro libertà”. Un muro eretto al centro di uno stesso popolo, guardi oltre la vetrata e scorgi tuo fratello che assiste alla partita. Non puoi disegnare una coreografia, nemmeno comporre uno striscione. Si giunge a qualcosa che nessuno può riuscire ad immaginare, ma che per forza di cose è costretta a realizzarsi: la Roma e la Lazio Ultras si uniscono in protesta, sono contro le decisioni del Prefetto, si assenteranno in occasione della partita più importante della stagione. Non esistono colori, né simboli, c’è solo un’unica bandiera. Lo scopo è creare un ambiente surreale, un derby senza pubblico. Impensabile una stracittadina senza coreografie. Chi vive, però,  la curva 365 giorni l’anno non può restare immobile di fronte a tali decisioni. Queste tuttavia possono sembrare esagerate, anche a chi vive dall’esterno la questione. Multare chi è seduto in un posto diverso da quello assegnato sul biglietto, erigere vetrate altissime per evitare che un ragazzo scavalchi e si trasferisca in un altro settore. Scene quotidiane, si vedono in ogni stadio da sempre, non hanno mai ucciso nessuno. Azioni che fanno tornare alla mente la semplicità di 30-40 anni fa, un “romanticismo calcistico” sconosciuto al mondo di oggi, ormai troppo complicato e strano. Sembra proprio che chi comanda non abbia mai assistito ad una partita di calcio seduto su un seggiolino o un gradone.

 

 

Chi sono gli ultras – C’è da fare una considerazione, quindi poniamoci una domanda: chi commette atti di violenza, fuori o dentro gli stadi, prima o dopo una partita, può essere definito ultras? La risposta è no! L’ultrà è chi non segue le mode, va “oltre” la tendenza, lotta senza mollare per il proprio ideale. Non esiste un modo preciso di esserlo, ognuno è diverso da un altro. C’è chi preferisce restare in gruppo, c’è chi è più solitario e non possiede neppure una maglietta del gruppo a cui appartiene. Tutti però hanno un elemento che li unisce. Hanno la stessa passione, l’amore in primis per il calcio e subito dopo per la propria squadra del cuore. Chi uccide, chi fa violenza gratuita, chi sfoga la frustrazione sui monumenti è un criminale! Non faremo lezione di storia, non partiremo dalle origini del movimento. L’ultras è consapevole che prima o poi arriverà allo scontro con tifosi di un’altra squadra, deve marchiare il territorio (chi possiede un gatto o un cane capirà all’istante). Sarà un pensiero antiquato, forse non adatto ai giorni nostri, ma è la realtà: l’ultras non è intenzionato ad uccidere, sa bene che di fronte ha un “nemico” che la pensa esattamente come lui.

 

E come sono visti… – Ci rendiamo conto di vivere in una società in cui l’evento tragico fa più scalpore e notizia rispetto ad un gesto di solidarietà. Si parla del criminale che accoltella un tifoso, spacciandolo erroneamente per un supporter, solo perché alla base ci sono motivi di tifo. Non si può escludere che all’interno di un tifo organizzato ci siano razzisti, estremisti o violenti di ogni genere. E’ vero anche che questi sono solo una minima parte, una “sparuta minoranza” per restare in tema Lazio. Ma perché si parla sempre di tragedie e mai del tifoso che compie gesti di sostegno? Il tg non racconterà mai della fiaccolata della curva Nord per Chiara Insidioso, la ragazza tuttora in coma per colpa del fidanzato. O del sostegno, morale ed economico, destinato alla famiglia della giovane da parte di molte piazze italiane. Non sentiremo raccontare la storia del piccolo Armandino a Salerno, o della tenera Marika a Foggia, o dello sfortunato Nicola a Reggio Calabria. Bambini abbandonati dallo Stato, sostenuti però ogni giorno dall’affetto degli ultras della propria città. Questi sono alcuni dei nomi che si possono fare, ma in giro per lo stivale di casi se ne trovano a bizzeffe. Il tifoso, il vero ultras deve cercare di emarginare i soggetti violenti, deve fare prima anche un mea culpa. Lo stadio è uno dei pochi momenti di vita vera, luogo in cui dimentichi i problemi quotidiani, in cui hai accanto a te un perfetto sconosciuto che per 90 minuti è tuo fratello perché condivide la tua stessa passione. Non roviniamo questo splendido sport, “il calcio è di chi lo ama”, del popolo. Non resta che augurare al Prefetto Gabrielli di ragionare sulle sue decisioni, di non fare di tutta l’erba un fascio. Il calcio, lo sport, serve ad unire e non a dividere.

 

 

Rocco Fabio Musolino

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