2014
“Una partita v’avevamo chiesto, mo’ tenetevelo”: cronaca di un popolo tutt’altro che unito e più che mai confuso…
Aria pesante. C’è il sole, il cielo è bianco e celeste, ma l’aria è cupa, l’atmosfera surreale, il silenzio assordante. Gioca la Lazio ragazzi, dove sta la sua gente? C’è qualcosa, lassù, che ha creato tutto ciò. Una spaccatura insanabile, inutile dire il contrario. Ormai è e sarà così, ormai si è rotto irreparabilmente qualcosa. Il passo indietro, da parte sua, non ci sarà. “Lascerò la Lazio a mio figlio”, diceva. “La Lazio è nostra e la lasceremo ai nostri figli”, hanno controbattuto gli assenti/presenti della Curva Nord. “O noi o lui” è lo striscione chiave. La protesta si basa proprio su questo. C’è però chi è del parere che la Lazio venga prima di tutto, c’è chi pensa che qualsiasi presidente ci sia, andare a guardare la Lazio allo stadio sia la cosa più importante di tutte. Mi lego per un attimo alle parole di Reja, sabato, nella conferenza pre-partita: “Venendo a Formello ho acceso la radio e ho sentito l’inno della Lazio. Ho fatto attenzione alle parole ‘Lazio, non sarai mai sola'”, e a quelle immediatamente successive al match: “E’ difficile giocare in un clima così”.
Una squadra non andrebbe mai lasciata sola. Però, come non esser d’accordo con chi ha deciso di non entrare con l’intento di cambiare le cose. Una scelta estrema. Un atto d’amore, “assenti per amore”. Curioso che, il match con più tifosi sia stato quello contro il Sassuolo e quello con meno tifosi proprio quello di ieri contro l’Atalanta. Prima la protesta con lo stadio pieno, poi la protesta con una Curva Nord vuota e uno stadio praticamente deserto. La Lazio ieri ne ha inevitabilmente risentito, inutile dire di no. Con le solite 25-30 mila voci presenti ogni domenica, probabilmente, anzi mi sento di dire sicuramente, la Lazio ieri avrebbe avuto la meglio di un’Atalanta modesta, da tempo in una difficoltà disarmante nelle gare lontane da Bergamo. Doveroso sottolineare una prova comunque incolore della squadra biancoceleste, apparsa troppo lenta e incredibilmente nervosa, abbandonata anche da chi la dovrebbe prendere per mano (Candreva e Klose). Reja ha dunque i suoi alibi, ma attenzione a scaricare (quasi) tutte le colpe sui tifosi.
A chi ieri non c’era e non è voluto entrare non importava nulla della vittoria, andava oltre. C’è chi addirittura è stato contento di aver visto la propria squadra perdere, c’è chi “ve ce sta bene”. Ecco, su questo non ci sto. C’è chi ieri, prima del match, fuori dallo stadio, scherniva chi stava entrando con applausi e cori ben poco carini. C’è chi, dopo la partita, si è lasciato decisamente andare, strattonando qualche persona a caso (tra quelle che stavano uscendo dall’Olimpico) e gridando a voce alta “Una partita v’avevamo chiesto, a fà gli eroi a entrà dentro. Bravi, bravi, mo’ tenetevelo”. Adesso andare a vedere la propria squadra è diventato un peccato, alla faccia della “protesta pacifica” e di tutti i proclami ‘democratici’ uditi in radio in settimana. È chiaro che, almeno per gli elementi a nostra disposizione, si tratta di una sola persona. Per carità. Ma non si parla ovviamente di questo. Si può essere pro o contro chi c’è lassù, si può decidere di andare o non andare allo stadio. Ma mai e poi mai, vedere la Lazio all’Olimpico deve diventare un peccato. Qualsiasi giocatore, allenatore, dirigente o presidente ci sia. La Lazio. Poi tutto il resto. La Lazio. Poi Lotito.
P.S. E che comunque un rimedio a questa situazione non si troverà finché lassù ci sarà l’oggetto della contestazione, è un altro discorso. Permettetemi: si può essere pro o contro Lotito. Ma la frattura ormai c’è ed è insanabile. Per il bene della Lazio, è bene che qualcosa cambi. È inevitabile, necessario. Vitale.