2013

Varsavia, Federsupporter: “Ancora tutti innocenti, non ci sono condanne”

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Negli atteggiamenti dei Governi interessati e nelle dichiarazioni, in particolare delle Istituzioni polacche, sono emerse categoriche affermazioni tipiche di uno Stato “monade” , chiuso ad ogni influenza e rispetto per i principi di quell’Europa, di cui, peraltro, fa parte.

Prendendo spunto dalle dichiarazioni ed osservazioni riportate dalla stampa, Federsupporter ha ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento, riportato nell’allegata Nota dell’Avv. Rossetti, di tematiche generali che costituiscono una valutazione dei presupposti dai quali sono scaturiti i comportamenti del Governo e delle Autorità di Polizia polacche.

Alfredo Parisi – presidente Federsupporter

Roma, 9 dicembre 2013

I fatti di Varsavia: precisazioni e considerazioni su legalità ed uguaglianza. Mancata prevenzione: colpa o dolo ?

(Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell’Area Giuridico – Legale)

Mentre perdura, nonostante le comuni e congiunte rassicurazioni del nostro Governo e di quello polacco circa l’accelerazione di procedure e regole, la “cattività” di numerosi, nostri connazionali in Polonia, siccome esponenti del suddetto Governo polacco hanno, più volte, invocato i principi di legalità e di uguaglianza, alcune precisazioni e considerazioni si impongono.
In via preliminare, occorre distinguere legalità da legalismo.
Vale a dire che non è sufficiente che una norma sia approvata, interpretata ed applicata da uno Stato e dai suoi Organi perché la norma stessa possa ritenersi, di per sé, “legale”.
Diversamente, bisognerebbe ammettere che anche le leggi razziali prodotte, interpretate ed applicate dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, in quanto legittimate dai Parlamenti e interpretate ed applicate dagli Organi di quegli Stati, avrebbero dovuto e dovrebbero essere considerate “legali”.
Nel rispetto di un principio di legalità sostanziale, esistono, sia nell’ambito nazionale sia in quello internazionale, norme così dette “sovraordinate” alle leggi ordinarie che sanciscono e tutelano diritti fondamentali e inviolabili che non possono essere disattesi dalle predette leggi ordinarie.
A ciò provvede, nel nostro Paese, la Costituzione e, in ambito europeo, provvedono la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Al rispetto e all’applicazione delle leggi “sovraordinate” sono preposti specifici “giudici delle leggi”: in Italia, la Corte Costituzionale e, in Europa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia Europea.
Perché, quindi, leggi ordinarie di Stati membri della UE, quali sono l’Italia e la Polonia, possano essere definite “legali”, è necessario che esse siano conformi ai diritti fondamentali ed inviolabili previsti e tutelati dalla CEDU e dalla Carta suddette.
Quanto al principio di uguaglianza, pure invocato da esponenti del Governo polacco, nel senso che le leggi di quel Paese devono applicarsi ai cittadini dello stesso così come ai cittadini stranieri presenti sul territorio polacco, è appena il caso di rilevare che le leggi polacche, eventualmente rispetto ai diritti fondamentali ed inviolabili sanciti dalle norme sovraordinate europee, vanno, nell’un caso, disapplicate e, nell’altro, conformemente applicate ed interpretate a tali diritti, sia nei confronti di cittadini polacchi sia nei confronti di cittadini stranieri appartenenti a Paesi membri della UE.
Quanto, poi, all’interpretazione ed applicazione dei diritti fondamentali ed inviolabili di cui trattasi, è opportuno qualche richiamo alla giurisprudenza delle Corti europee.
In merito al divieto della tortura e dei trattamenti disumani e degradanti, esso vale anche quando serie minacce vengano portate all’ordine pubblico e anche qualora i reati dei quali la persona è accusata siano particolarmente gravi.
Le autorità statali devono essere considerate oggettivamente responsabili del comportamento dei funzionari di pubblica sicurezza e non possono sottrarsi, in alcun modo, a tale responsabilità.
Il margine di apprezzamento dei maltrattamenti dipende dalla natura e dal contesto in cui essi hanno avuto luogo, dalla loro durata, dalle conseguenze fisiche e psicologiche, nonché dal sesso, dall’età e dallo stato di salute delle persone coinvolte.
Un trattamento è da considerarsi inumano, se applicato con premeditazione e volto a causare, non solo lesioni fisiche, ma anche solo forti sofferenze fisiche o morali.
Un trattamento è considerato degradante, quando crea nella vittima sentimenti di paura, di angoscia e inferiorità atti a umiliarla e a coartare la sua resistenza fisica e/o morale.

Il diritto alla libertà e alla sicurezza deve ritenersi violato nel caso di arresti o detenzioni arbitrarie o sfornite di adeguate garanzie procedurali.
Non è sufficiente che arresti o detenzioni siano conformi al diritto interno, essendo, altresì, necessario che la privazione della libertà sia conforme allo scopo per cui essa è stata prevista (tanto per fare un esempio, non si può arrestare nessuno per “schiamazzi” o per mero “disturbo dell’ordine pubblico”, causato dal canto dell’inno della propria squadra o per “aver spinto dei passanti” o, ancora, non si può definire “adunata sediziosa” la riunione di un gruppo di tifosi per recarsi allo stadio).
L’imputato, fino all’eventuale condanna, deve essere presunto innocente, non solo dai giudici, ma anche da tutte le autorità pubbliche, ed egli deve essere rimesso immediatamente in libertà, non appena il perdurare della detenzione cessi di essere necessario.
Ogni persona privata della libertà ha il diritto di presentare un ricorso per il riesame delle norme e dei motivi che hanno portato al suo arresto.
Egli ha il diritto di essere giudicato da un tribunale che dia garanzie di indipendenza e di correttezza.
La persona arrestata deve essere prontamente informata, nella lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa elevata a suo carico: la qualcosa, per lo straniero, si traduce nel diritto all’assistenza gratuita di un interprete.
L’imputato deve avere la possibilità di avere contatti confidenziali, senza sorveglianza, con il proprio avvocato e di accedere al dossier istruttorio.
L’imputato deve poter prendere conoscenza degli elementi di prova dedotti a suo carico, di poterli dibattere, di poter interrogare testimoni a carico e di poter presentare ed interrogare testimoni a discarico (a proposito di prove, come mai le forze di polizia polacche, asseritesi “lapidate e assaltate con pali e cestini dell’immondizia”, non hanno riportato alcun ferito, sia pur lieve ?).
I mezzi di prova devono essere prodotti in presenza dell’imputato durante il dibattimento, ai fini del contraddittorio tra le parti: è necessario che all’imputato sia sempre consentita la possibilità di contestare testimonianze a suo carico e di interrogarne l’autore.
Il divieto di discriminazione comprende qualsiasi comportamento discriminatorio in relazione a qualsivoglia appartenenza sociale e, quindi, essendo il calcio un fenomeno sociale, anche relativamente ad appartenenze calcistiche.
Alla luce dei richiami si qui esposti, non v’è dubbio, a mio avviso, che, secondo le numerose, univoche e non sospettabili testimonianze finora acquisite, secondo dati di fatto e circostanze assolutamente incontrovertibili e secondo quanto riferito alla Camera dei Deputati dal nostro Vice Ministro degli Esteri, Marta Dassù, i comportamenti tenuti dalle autorità polacche sono del tutto legittimamente sospetti di aver violato plurimi diritti fondamentali ed inviolabili previsti e tutelati dalla normativa sovraordinata europea.
Per coerenza con le dichiarazioni del suddetto Vice Ministro, nonché a tutela dell’onore e della dignità dell’Italia, il nostro Governo, pertanto, dovrebbe portare la questione all’attenzione degli Organi comunitari e, in particolare, sottoporre la questione stessa, all’occorrenza, alle Corti di giustizia europee; ciò anche ai fini risarcitori conseguenti all’eventuale accertamento delle violazioni subite e subende da parte di tanti, nostri connazionali.
Peraltro, le dichiarazioni successive a quelle del Vice Ministro, Dassù, rilasciate finora dal nostro Presidente del Consiglio dei Ministri e dal nostro Ministro degli Esteri non lasciano ben sperare nel senso suddetto.
Non a caso, nelle sue pregevoli e vibrate note del 6 dicembre scorso, l’amico Presidente, Parisi, ha bene evidenziato atteggiamenti assai blandi e riduttivi del nostro Governo che si è limitato a “chiedere”, “raccomandare”, previo ovvio, banale e inutile warning sul “rispetto delle leggi” e sulla “separazione dei poteri”, una mera “accelerazione della applicazione di regole e procedure”, senza minimamente porsi e porre la questione della legittimità e regolarità di tali “regole e procedure” e della loro applicazione.
Laddove sembra che la tutela di così numerosi nostri concittadini e della dignità e dell’onore dell’Italia sia stata ritenuta secondaria e meritevole di sacrificio rispetto ad accordi commerciali con la Polonia e alla partecipazione di quest’ultima all’Expo 2015.
Sembra, insomma, che si sia preferito e si preferisca “liquidare” la questione come una delle tante beghe riguardanti tifosi di calcio irrequieti ed indisciplinati.
Ma, pur volendoci limitare a considerare la questione come un “affaire calcistico”, e, come si è visto, non lo è affatto, abbiamo provveduto a chiedere all’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive quali siano le normali procedure per l’accompagnamento di tifosi in occasione di gare in trasferta all’estero.
Ci è stato precisato che, in tali occasioni, sono le autorità di pubblica sicurezza del Paese ospitante a richiedere alle omologhe autorità italiane l’accompagno dei predetti tifosi, in conformità, per quanto riguarda Paesi membri della UE, alla cooperazione di polizia che, ai sensi della normativa UE, associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi di polizia.
Ci è stato, altresì, precisato che, per la gara Legia Varsavia – Lazio, nessuna richiesta in tal senso è pervenuta, almeno in tempo utile, alle autorità italiane da parte di quelle polacche.
Quanto sopra nonostante che l’UEFA avesse considerato la suddetta partita ad alto rischio o, per dirla con la terminologia dell’Osservatorio, “connotata da elevati profili di rischio”.
Non solo, ma mi chiedo e chiedo se e, in caso affermativo, quale ruolo ed attività siano stati svolti, nella fattispecie, dai Supporter Liason Officer (Delegati ai rapporti con i tifosi) sia della Lazio sia del Legia Varsavia: Officer obbligatoriamente previsti dalle norme UEFA e FIGC.
Và sottolineato che, secondo tali norme, tra le funzioni e i compiti di detti Officer, rientra quella specifica di curare gli aspetti relativi alla sicurezza.
Ne consegue che gli Officer sia della Lazio sia del Legia Varsavia avrebbero dovuto provvedere a richiedere, per quanto di rispettiva competenza, alle autorità di pubblica sicurezza italiane e polacche l’accompagnamento dei tifosi laziali a Varsavia: cosa che, secondo notizie di stampa (vedasi “Il Corriere dello Sport” del 7 dicembre scorso, pag. 17, articolo a firma di Fabio Massimo Splendore), non sarebbe avvenuta.
Imprudenza, negligenza, imperizia ? Oppure intenzione di evitare una “scomoda” presenza a Varsavia di funzionari di pubblica sicurezza italiani, onde così poter avere “mano libera”nei confronti dei tifosi laziali e impartir loro una severa “lezione” ?
Come soleva dire un famoso uomo politico, “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”.
Non sarà anche, come recentemente e sconsolatamente affermato dal Presidente della FIGC, Abete, che l’istituzione e l’attività dei Delegati ai rapporti con i tifosi nelle società di calcio italiane è ancora un fatto puramente formale e, in gran parte, rimasto solo “sulla carta” ?
Ribadisco, come pure evidenziato nelle mie note del 2 dicembre scorso e in quelle dell’amico Presidente, Parisi, nelle sue citate note del 6 dicembre scorso (confronta www.federsupporter.it), la negatività della disinformazione svolta da alcuni mass media italiani circa i fatti di Varsavia.
Negativa disinformazione che, d’altronde, permane, avendo, per esempio, personalmente potuto ascoltare, nel corso di trasmissioni radio – televisive, interventi connotati da molti “ma” e molti “se” sui comportamenti tenuti a Varsavia dalla stragrande maggioranza dei tifosi arrestati e detenuti, nonostante le numerose, univoche ed insospettabili testimonianze acquisite, fatti e circostanze assolutamente incontrovertibili e le stesse dichiarazioni ufficiali, precedentemente richiamate, del nostro Vice Ministro degli Esteri.
Mi è capitato, in particolare, di dover ascoltare affermazioni del tipo “Ma se sono stati arrestati è perché hanno sicuramente commesso qualcosa”.
Parole, queste, pronunciate anche da chi, quando si tratta di imputazioni e di arresti di calciatori, ha subito invocato la presunzione di innocenza e protestato contro l’ingiustificatezza e l’ingiustizia di tali restrizioni della libertà.

Evidentemente, per costoro, pur attegiantisi, a volte, quali “democratici e progressisti”, i “tifosi” sono, per definizione e presunzione assoluta, soggetti dediti al crimine e “figli di un Dio minore”.
Federsupporter, per parte sua, avendo sempre contestato e contrastato ogni forma di violenza a causa o in occasione di manifestazioni sportive, ha le carte in regola per tutelare, oggi, i tifosi, non solo come piccoli azionisti e come consumatori dello spettacolo sportivo, ma anche, anzi, soprattutto, quali cittadini italiani ed europei.
Avv. Massimo Rossetti

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