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Verón: «Torno a giocare perché è ciò che desidero. Lo faccio per il bene dell’Estudiantes»
L’ultima volta l’abbiamo visto in campo allo Stadio Olimpico di Roma per la ‘Partita della Pace’ organizzata da Papa Francesco. Era un match amichevole, ma lui ha persino trovato il tempo di una scaramuccia con Diego Armando Maradona. Oggi, a 41 anni compiuti, Juan Sebastian Verón, indimenticato centrocampista della Lazio e della Nazionale argentina, si prepara ad un clamoroso ritorno in campo tra i professionisti. Dopo aver concluso la carriera con l’Estudiantes, il club in cui è cresciuto e di cui è divenuto un’importante figura dirigenziale, Seba vuole rientrare a giocare nel 2017. Follia? Lui assicura di star bene e di star allenandosi duramente per farsi trovare in forma all’inizio del precampionato, in modo da potersi mettere a disposizione del mister come tutti gli altri calciatori del Pincha. Ecco alcuni estratti dell’intervista concessa dall’ex biancoceleste ai microfoni di El Clarìn. “Non saprei dire con esattezza perché torno a giocare a calcio. Credo sia il frutto di un desiderio. Nella vita uno deve fare ciò che sente e oggi io sento di aver voglia di giocare a calcio da professionista” spiega la Brujita senza giri di parole.
Come ti prepari al ritorno?
“Con voglia e responsabilità. L’obiettivo principale di tutti qui all’Estudiantes è finire lo stadio e credo che il mio ritorno sia un incentivo in più. Dissi che sarei tornato a giocare se avessimo venduto prima della fine dell’anno il 65% delle tribune future, e siamo molto vicini a riuscirci. La mia idea è di aiutare il club in tutti i modi in cui posso. Per i dubbi, siccome le cose stanno andando bene, da un mese mi sto allenando duro con il professor De Rose. Sono stato lontano dal calcio per due anni e per questo devo prepararmi in maniera speciale con esercizi in palestra e sul campo. Per presentarmi a gennaio al precampionato e lavorare al pari del resto del gruppo. Devo sforazarmi adesso”.
Perchè hai promesso di tornare a giocare a pallone e non altro? Ti costa tanto dare l’addio definitivo al calcio?
“L’unica cosa che ho chiara è che non dirò mai addio. Sarò sempre e mi sentirò un giocatore di calcio. Non sono mai andato dallo psicologo, per questo non saprei dirvi veramente cosa c’è dentro di me, con tutto il rispetto per temi così delicati. Torno a giocare perché mi sento bene, non per capriccio. La sfida più grande passa per il dimostrare che ancora posso competere al massimo livello. Lo stesso ripeto: tutto questo è nato con l’obiettivo di terminare il nostro stadio, so dell’affetto dei tifosi e questo può muovere ancora di più le cose”.
Torni perché senti di poterlo fare. Ma allora non ti penti di aver perso anni di carriera?
“No per niente. Se oggi posso tornare è perché a un certo punto mi sono fermato e ho detto basta. Mi ritirai nel 2014 (il 18 maggio contro il Tigre ndr) perché avevo fastidi che mi preoccupavano e che mi davano anche problemi a livello mentale. La situazione ora è diversa. C’erano questioni fisiche che limitavano il mio rendimento ad alti livelli, avevo molto dolore. Per fortuna adesso sono alle spalle”. Ci sono degli amici che ti dicono che sei pazzo? “C’è un po’ di tutto. Molti mi appoggiano e mi stimolano, altri mi dicono que mi farà tutto male. Ma dietro c’è tanta voglia. Mi succede quando guardo le partite e mi soffermo sulle situazioni di gioco pensando a cosa farei io in quella situazione. Credo che tutti i giocatori ritirati quando guardano una partita sentano di voler essere in campo. Diverso è farlo professionalmente, chiaro”.
Nel calcio argentino non c’è un giocatore che faccia i tuoi cambi di campo. Perché?
“Non lo so, credo per le caratteristiche dei giocatori. Qui stimoliamo molto il dribbling, è sempre stato così. A livello mondiale è questo ciò che succede. Oggi i migliori sono Messi, Ronaldo, Neymar, che sono giocatori essenzialmente di fantasia. Adesso Lionel ha aggiunto al suo vasto repertorio il lancio lungo e gli assist. A volte il giocatore quando perde in velocità e freschezza atletica inizia ad aggiungere cose nuove. A me sorprende di più un cambio di gioco di Messi che un suo dribbling, perché sono 15 anni che dribbla il mondo intero. La mia specialità era il lancio lungo, non sono mai stato un buon dribblatore, nè un velocista. Fa parte delle caratteristiche individuali, il rapido punta sulla velocità, il preciso sui passaggi…”.
Parlando di Messi, il finale di carriera potrebbe essere proprio una rivincita contro il Barcellona in Giappone?
“Nooooo. Sarebbe troppo. Sogno di giocare la mia ultima partita con l’Estudiantes nel nuovo stadio. Questo sì che sarebbe un finale d’oro”.