Lazio, Wilson: «E' tutta la mia vita. Ero molto legato a Chinaglia»
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Lazio, Wilson: «E’ tutta la mia vita. Ero molto legato a Chinaglia»

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Lo storico campionato della Lazio ha raccontato il suo legame con la società biancoceleste e vari aneddoti del primo Scudetto

Pino Wilson è stato il primo capitano della storia della Lazio ad essere diventato campione d’Italia.

L’ex difensore ha raccontato alcuni aneddoti della sua epoca ed il suo legame con il club, ai microfoni di Calciomercato.com: «La Lazio rappresenta tutta la mia vita. Abbiamo capito di poter vincere lo Scudetto, nel ’74, dopo averlo sfiorato l’anno prima. Eravamo partiti con l’obiettivo di fare molto bene. Verso metà febbraio ci siamo resi conto che potevamo non vincerlo, ma almeno giocarci lo scudetto. La molla è scattata dopo il 3-1 contro la Juventus. Maestrelli? Sapeva creare un grande rapporto umano con tutti noi. Oggi si parla di pugno di ferro, lui non ha mai alzato la voce: bastava un suo sguardo per capire cosa volesse dirci. Inoltre, con lui si poteva parlare di qualsiasi cosa. Era come un secondo padre. C’erano due clan ben distinti. Nella partitella del venerdì nessuno toglieva mai il piede, era più importante di quella della domenica. La bravura di Tommaso è stata proprio quella di trasformarci nelle gare ufficiali. In campionato giocavamo sempre uno per l’altro, tutti per Maestrelli. Oggi dopo un gol si corre sotto la curva, noi andavamo tutti ad abbracciare l’allenatore».

LONG JOHN – Wilson ha voluto anche ricordare il compagno, nonché amico, Giorgio Chinaglia: «Era il ragazzo al quale ero più legato. Abbiamo fatto una vita calcistica parallela, dall’Internapoli ai Cosmos. Una volta che io avevo già lasciato l’America, mi disse che anche se eravamo lontani e ci sentivamo poco continuavamo a volerci bene e lo sapevamo. Questo è il più bel ricordo che ho di lui. Eravamo una squadra abbastanza portata agli scherzi, non c’era nessuno col muso. Un giorno Giorgio si presentò con un paio di scarpe nuove di coccodrillo, pagate tantissimo. Durante la notte gliel’abbiamo attaccate al chiodo».

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